la voce misena
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due passi in collina
Ostra/2 Il profumo della fede. Santuario della Madonna della Rosa e Palazzo Gherardi
ITINERARI
Grazie alle schede preparate in occasione delle Giornate Fai di Primavera, dagli studenti- ciceroni dell’Istituto Comprensivo Ostra. ‘Menchetti’, andiamo alla scoperta di uno dei luoghi più significativi per la devozione popolare diocesana: il santuario campestre della Madonna della. della Rosa di Ostra, per poi visitare Palazzo Gherardi, nel centro storico, dove l’austera facciata preserva antichi soffitti riccamente decorati con grottesche, arabeschi e ghirlande.
Il Santuario della Madonna della Rosa, prende il nome dall’immagine della Vergine Maria con il Bambino sulle ginocchia e nella mano destra una rosa, venerata nella cappelletta interna. È il secondo Santuario diocesano delle Marche: la sua storia di fede e di devozione popolare inizia nel 1666 e prosegue ininterrotta fino ad oggi.
Si trova non molto fuori delle mura, a destra della strada collinare che porta a Senigallia. Fu eretto nel 1776 e custodisce l’edicola miracolosa del 1600, dedicata alla Madonna.
Tra il 1667 e il ’68, per il grande afflusso di pellegrini, la cappelletta venne trasformata in una piccola chiesa e ai piedi dell’altare venne aperto un pozzo per raccogliere le acque di quella sorgente, che i testimoni del tempo indicano come strumento della prima guarigione operata per intercessione della Madonna della Rosa e che ancora oggi è a disposizione dei fedeli.
La chiesetta, con la volta a botte scandita da cornici dorate, è completamente affrescata con venti raffigurazioni, dedicate alla vita di Maria, ai quattro Evangelisti e ai primi quattro Dottori della Chiesa. Gli affreschi sono opera del ferrarese Clemente Maioli, mentre gli stucchi si devono allo scultore Tommaso Amantini da Urbania.
Ben presto, aumentando sempre più l’afflusso dei fedeli, la chiesetta, sorta introno all’edicola, si dimostrò insufficiente e sorse l’idea di costruirne una più grande. All’abate Gianfrancesco Gherardi, nel 1776, si deve la costruzione del nuovo edificio sacro, pensato come “un sontuoso tempio con sette altari” e progettato come espansione della chiesetta già esistente, custodita al suo interno, alla maniera della Santa Casa di Loreto.
La facciata ed il campanile vennero edificati nel ‘800 su progetto dell’architetto Francesco Vespignani di Roma ed appaiono sullo sfondo del viale d’ingresso situato lungo la piccola valle. Ancora oggi il santuario è meta di numerosi pellegrinaggi e rappresenta uno dei principali santuari mariani della regione.
La pianta della chiesa è a croce greca con semicupola al centro, poggiante su quattro colonna pressate sulla parete e leggermente sporgenti di stile corinzio, che reggono la trabeazione e i pennacchi. Lo stile neoclassico vi trionfa pur con qualche leggera sfumatura di barocco. “La sobria decorazione, eseguita dai fratelli Bedini, dà al pellegrino una larga sensazione di ricchezza e di eleganza.
Il cuore del Santuario della Madonna della Rosa è la Cappella della Madonna è contenuta all’interno del santuario ed è avvolta nella penombra per la fioca luce che giunge indirettamente dall’esterno, ricordando l’atmosfera di una cripta basilicale.
L’altare è opera dell’architetto friulano Garlati, nato nel 1885 in Romania, a cui si devono anche il progetto per l’apertura di Corso Stamira e corso Garibaldi in Ancona.
Nel Santuario, fra le centinaia di ex voto, provenienti da tutta Italia, sono conservate due bandiere turche, uniche in Italia, conquistate dalle forze armate cristiane durante una battaglia combattuta in Dalmazia nel 1717 da tremila soldati veneziani contro seimila Turchi. Per una serie di inattese circostanze, il Generale Alvise III, detto Sebastiano, della nobile famiglia veneziana dei Mocenigo, attribuì la vittoria proprio all’intercessione della Madonna della Rosa.
Nel Santuario è conservato anche un piccolo organo positivo del 1721, opera di Angelo degli Albertini di Jesi e sapientemente restaurato nel 1990.
Durante le Giornate FAI di primavera è stato dato particolare risalto alle 160 tavolette votive, conservate sulle pareti esterne della cappella, che raccontano 230 anni di storia locale e rappresentano non solo una preziosissima e rara documentazione della intensa devozione mariana locale, ma anche una insostituibile fonte di notizie per la ricostruzione di alcune vicende accadute a Montalboddo.
Architettura Interna ed esterna del Santuario della Madonna della Rosa
La tradizione popolare ostrense racconta che fuori dalle mura, in campagna, c’era un’edicola con l’immagine della Vergine che teneva in braccio il Bambino con una rosa rossa che ne copriva le nudità. Le Grazie ed i miracoli ottenuti mediante l’acqua della fonte continuavano senza sosta, accrescendo in modo costante l’afflusso di pellegrini provenienti dai paesi vicini.
“I ripiani delle tavole posti al breve oratorio” non erano più sufficienti per accogliere tutti i fedeli e con l’aiuto di offerte in denaro, oggetti d’oro e d’argento, Monsignor Claudio Marazzani, Vescovo di Senigallia autorizza di estendere l’edicola con l’immagine sacra. I lavori di ampliamento iniziarono nella stagione estiva del 1667 e terminarono nel giugno del 1668. Quindi in un anno circa la Cappellina venne trasformata in una chiesa lunga 8,61 m, larga 4,67 m e alta 7,55 m.
Nel primo secolo della sua storia, il Santuario della Madonna della Rosa venne amministrato per oltre 70 anni dai membri della famiglia locale Gherardi. L’abate Gianfranco Gherardi aveva in mente di costruire una chiesa più grande e iniziò a raccogliere i fondi necessari grazie alle elemosine e aggiungendo sostanze proprie. Dai documenti dell’epoca è possibile ricavare la data di inizio dei lavori, ovvero il 1735. Degli eventi della costruzione non si hanno molte notizie, a parte alcuni cenni contenuti in due relazioni, rispettivamente del 1750 e del 1754.
Da alcuni racconti di don Giusto Roccheggiani si evince che la chiesa fosse stata costruita in soli sei anni. Secondo i pochi documenti pervenutici, la costruzione della chiesa durò invece circa 20 anni. In sostanza, i lavori durarono dal 1735 al 1755. L’ignoto architetto del nuovo tempio è riuscito a far rimanere la Cappellina com’era precedentemente, conservando la custodia della Sacra immagine come una naturale espansione della Cappella originaria. Il nuovo tempio, infatti, inizia davanti alla Cappella e ne segue la direzione longitudinale.
Ha uno stile neoclassico, poggia nella parte centrale su 4 grandi pilastri, tra i quali si intersecano, incrociandosi, le due navate che formano una croce greca. Le navate, di uguali dimensioni, terminano con quattro absidi semicircolari, simmetriche e poste uno di fronte all’altra. In tre absidi sono presenti gli altari; solo l’abside in corrispondenza dell’altare maggiore ne è priva, in quanto destinata all’entrata. Alternati ai bracci della croce si trovano quattro spazi quadrati destinati ad altrettanti altari.
I due muri esterni, invece, sono collegati ai pilastri centrali attraverso archi a tutto sesto, si prolungano paralleli fino ad abbracciare la Cappella della Vergine. Il tempio ha una copertura ad archi e a volte tutto tondo e una semicupola schiacciata al centro della crociera che coincide con il punto più alto, che misura 15,25 m. Tutta la chiesa riceve la luce naturale attraverso le quattro aperture ellissoidali situate sopra le absidi, che in seguito verranno chiuse e sostituite da finestre aperte sopra i cornicioni.
Così costruita la chiesa la Cappellina sarebbe stata priva di entrate per favorire l’accesso e di deflusso dei pellegrini. Nel prolungamento del muro destro si realizza anche un Coro semicircolare con stalli e inginocchiatoi in legno noce per la preghiera e utilizzato anche come cantoria.
Nel 1854 l’amministratore del Santuario Claudio Menchetti pensa che il tempio debba avere anche un campanile, visto che è dal 1784 che si pensa di costruirlo. Per la sua costruzione si chiama l’architetto senigalliese Giuseppe Ferroni che manda i disegni del progetto al Vescovo solo nel 1855 . Dato che Ferroni stava già progettando la chiesa del Porto a Senigallia, prima del 1856 non dà inizio ai lavori. Finalmente nell’aprile del 1856 vengono iniziati i lavori e vengono portati a termine nel 1857.
Terminato il campanile si passa all’ abbellimento della chiesa. Si constata che la Cappellina non ha un altare dignitoso; anziché ristrutturarlo si decide di rinnovarlo completamente. Il progetto dell’altare viene visionata da Ferroni che vi apporta alcune modifiche e, per il Natale del 1865, la Cappellina ha il suo nuovo altare in marmo.
Ancora nel 1885, nonostante la maestosità dell’interno del Santuario, quest’ ultimo ha ancora una facciata grezza. Viene incaricato l’ingegnere Francesco Vespagnani. Il primo disegno della facciata prevede la costruzione di due campanili, posti a i lati della facciata. Si tratterebbe di adattare il campanile già esistente costruito nel 1857 e di innalzarne un altro. Strada facendo però tale progetto viene abbandonato e l’ingegner Vespagnani presenta il disegno di un solo campanile più alto e che si erigerà sul lato destro della facciata.
Il 6 febbraio 1886 hanno inizio i lavori con il trasporto di 11.440 mattoni. Il giorno dopo e per le seguenti otto settimane si tagliano e rotano i mattoni. Il 5 aprile 1886 si cominciano a scavare le fondamenta per la facciata. Il 2 maggio 1886 i lavori vengono sospesi, dovendosi decidere se realizzare il progetto iniziale con due campanili o realizzarne solo uno.
Si decide, infine, per un unico campanile e i lavori riprendono venerdì 28 agosto 1886. I lavori proseguono con fervore per 46 settimane, cioè fino al 10 luglio 1887, quando subiscono un’altra interruzione. Il 4 settembre 1887 riprendono i lavori di completamento del campanile continuano fino al 20 novembre del 1887.
In questo periodo viene sistemata la cuspide in blocchi di pietra; al di sopra è posta una grossa palla di rame che pesa 80,9 kg. A compimento del campanile viene sistemata la croce del campanile del 1857. Questa croce, della lunghezza di circa tre metri, trapassa la palla di rame e si conficca direttamente nella cuspide di pietra. Il capomastro colloca sul finestrone del basamento, sul lato est, un’inferriata di 116,5 kg; sistemate otto mensole grosse, del peso complessivo di 139,20 kg. I muratori passano poi due mano di colore all’interno.
Il nuovo campanile è alto 37 m, a sezione quadrangolare, in mattoni rosati, poggia su un basamento a bugnato, addossato alla chiesa, ha un solo finestrone a livello del piano rialzato. Quindi si innalza per altri tre piani; in ogni piano ci sono quattro aperture, una per ogni lato.
Nel primo e nel terzo (cioè la cella campanaria) vi sono grandi monofore, mentre nel secondo quattro occhialoni. Il campanile va poi restringendosi formando una piramide quadrata sul cui vertice poggia la cuspide in pietra. Al di sopra la palla di rame raffigura il mondo dalla quale si eleva per due metri la croce. Nella cella campanaria sono subito sistemate le quattro campane più una nuova.
I lavori per la costruzione della facciata riprendono quasi due anni dopo, nel 1889. Si comincia con la demolizione del vecchio campanile e si dà inizio alla costruzione a metà maggio. A conclusione dei lavori vengono apposte le due lapidi commemorative. Il Santuario della Madonna della Rosa ha finalmente una bella facciata.
Di stile neoclassico, tutta in mattoni rosati come il campanile, la facciata è divisa in due ordini: la parte inferiore è scandita dalle aperture della porta centrale delle due laterali, con le relative riquadrature in pietra, nonché delle lesene e delle semicolonne, sempre in laterizio con capitelli dorici.
Nella porta centrale, ossia la principale netto il contrasto tra le due colonne di granito grigio che poggiano sulla base di marmo bianco e la cornice del gruppo riproducente a rilievo la Madonna della Rosa.
La cortina in laterizio viene simmetricamente interrotta dalle pareti laterali con le lapidi celebrative. Una doppia cornice porta alla conclusione del primo ordine della parte più ampia della facciata che viene chiusa ai due lati dalle statue in terracotta di San Gaudenzio e San Emidio poggiate rispettivamente a destra e a sinistra.
Nel secondo ordine la facciata ripete, con capitelli ionici le due lesene e le due semicolonne dell’ordine inferiore, inframmezzate da una finestra riquadrata di marmo bianco. Quindi, questa parte centrale della facciata si chiude con un timpano semicircolare, sempre in terracotta, al cui centro si apre un piccolo rosone lavorato in pietra. Sulla sommità di tutto si trova una croce in pietra bianca.
La nobile famiglia Gherardi di Montalboddo (Ostra) ha dato alla città numerosi uomini illustri ed è particolarmente legata al Santuario della Madonna della Rosa. Francesco Gherardi, membro della nobile famiglia Gherardi, scrisse nel 1710 il primo libro che narra la storia del Santuario e registra le prime 139 grazie operate per intercessione della Madonna della Rosa.
Al generoso contributo della famiglia Gherardi è legata anche la ristrutturazione interna della chiesa di San Rocco: lo stemma di famiglia domina sull’arco che contiene l’altare maggiore, con la pala dipinta da Giacinto Brandi da Poli, mentre la rosa e la stella (elementi dello stemma) si ripetono per tutto il perimetro della chiesa e ritornano come motivo ornamentale negli stucchi.
Palazzo Gherardi, si affaccia su corso Mazzini, la via principale del centro storico. L’antica dimora di famiglia ed è un tipico esempio dell’edilizia gentilizia ostrense del XVIII secolo. Come la maggior parte dei palazzi coevi di maggior pregio, si affaccia sulla via principale del centro storico: libero su tre lati, confina con Palazzo Giacometti-Antonini.
Il palazzo, dalla facciata austera realizzata con mattoni faccia a vista, si sviluppa su tre livelli fuori terra, un piano interrato e una soffitta, collegati da un’ampia scala a due rampe. Ogni piano ha una superficie di circa 360 mq e un triplice affaccio. Del palazzo, aperto al pubblico in via straordinaria per le Giornate F.A.I., è stato possibile visitare il primo piano, scandito da una serie di stanze concatenate, senza corridoi e spazi di risulta, i cui soffitti, sono decorati con affreschi con motivi a grottesche, arabeschi, ghirlande di varie tipologie e con scene ispirate ai temi della mitologia classica, in particolare, alle storie di Venere, Amore, Psiche e Proserpina.
I pavimenti sono rivestiti con mattonelle quadrate o rettangolari in cotto rossastro, mentre le pareti sono ricoperte da carta da parati ottocentesca, con colori e motivi differenti in ogni stanza. I soffitti di questi locali sono costituiti da volte a padiglione su incannicciato, alla cui base corre un cornicione in stucco.
Salve a tutti. Benvenuti a palazzo Gherardi. Sono Giulia, il vostro aspirante cicerone e oggi vi guiderò alla scoperta di questo antico palazzo solitamente chiuso al pubblico.
Antica dimora della famiglia Gherardi e tipico esempio dell’edilizia gentilizia ostrense del 18° secolo, il palazzo fu edificato a partire dal 1666. Si affaccia su corso Mazzini, come la maggior parte dei palazzi di maggior pregio del ‘700.
E’ costituito da una facciata imponente sulla quale si trovano elementi molto lineari: finestre quadrate con inferiate al piano terra e finestre molto più ariose al piano nobile e al secondo piano.
Il primo documento che attesta l’esistenza dell’edificio è del 19° secolo e si trova nel Catasto Gregoriano (si tratta del primo catasto particellare di tutto lo Stato Pontificio, promosso da Pio 7° nel 1816 e attivato da Gregorio 16° nel 1835).I documenti identificano il palazzo come appartenente al comune di Montalboddo e indicano il proprietario, Ghirardi Gaudenzio, e la qualità, casa di propria abitazione.
Piano terra. L’ ingresso del palazzo è collocato in posizione centrale rispetto al fronte su Corso Mazzini. L’ organizzazione interna è simmetrica. L’ atrio d’ ingresso, il corridoio e la scala che conduce hai piani superiori, sono posti in posizione centrale nella pianta. L’ingresso ha angoli stondati e c’ è una volta a padiglione decorata con stucchi di colore giallo che si sviluppano dal centro del soffitto a raggera.
Dall’atrio si accede a due stanze una a destra e una a sinistra. Quest’ ultima in passato aveva la funzione di magazzino, dove erano contenuti una cisterna d’ acqua collegata al pozzo di acqua potabile situato nell’ interrato.
Invece la stanza alla nostra destra, collegata ad un’ altra stanza che si affacciava sul giardino, in origine era un magazzino e poi divenne un ambulatorio medico.
Queste stanze si affacciano tutte su Corso Mazzini e hanno delle finestre come possiamo vedere con delle inferiate. Proseguendo lungo il corridoio possiamo ammirare altre due stanze una a destra e una a sinistra. Quella alla nostra sinistra contiene un forno a legna e una zona di dispensa che si affaccia su Vicolo Gherardi e è collegata all’ambulatorio.
Come possiamo vedere il pavimento del corridoio è realizzato da mattonelle in cotto montate a spina di pesce.Nella parte finale del corridoio si trovano gli ingressi alla cantina e alla scala che conduce hai piani superiori. Quest’ ultima è costituita da una doppia rampa formata da 17 gradini ed è sormontata da una volta a botte, e le pareti sono intonate di bianco.
Primo piano. Al primo piano è presente un unico appartamento composta da nove stanze. Come potete ammirare anche al primo piano come al piano terra che abbiamo visto prima i soffitti sono costituiti da volte a padiglione, sono affrescati e alla base di queste volte è presente un cornicione in stucco.
Alle pareti sono incollate carte da parati ottocentesche con colori e motivi diversi in ogni stanza probabilmente servono per coprire affreschi precedenti. Questo piano è alto circa 4 metri. I pavimenti sono ricoperti da mattonelle in cotto quadrate, lucide e di colore rossastro disposte in diagonale.
La prima stanza in cui accederemo è l’ ingresso, sul cui soffitto è affrescato lo stemma della famiglia nobiliare dei Gherardi. Da qui si può accedere alla cucina, a uno spazio di servizio, a un piccolo disimpegno e alla zona giorno. Quest’ ultima si compone di due sale rivolte su Corso Mazzini.
Le due sale rivolte sul fronte principale, hanno dimensioni ridotte.Sul soffitto si può osservare un affresco su sfondo bianco, la cui composizione comprende riquadri di diverse dimensioni. Nel riquadro centrale viene raffigurata Venere all’interno di un tondo. Nei restanti riquadri si trovano composizioni a grottesche.
Predominano come vediamo l’ azzurro, il verde e il rosso. La sala centrale rispetto al fronte su Corso Mazzini, presenta un ampio cammino ed era un salottino di rappresentanza. L’affresco del soffitto è costituito da motivi di decoro simili a un panneggio di stoffa che fanno da cornice a una raffigurazione di figure femminili Venere e le sue ancelle. I colori sono tenui e vi è una forte presenza di oro, che va a decorare come vedete anche il cornicione sottostante.
Le pareti sono rivestite anche qui’ di carta da parati con motivi floreali, scandita da paraste di intonaco di colore rosa antico. Sullo stesso piano è possibile vedere due camere da letto: una è collocata all’ angolo tra Corso Mazzini e Vicolo Gherardi, ed è l’ultima delle tre stanze che saranno visibile da noi oggi. Questa stanza di grandi dimensioni, è rivestita anch’essa con carta da parati a motivi floreali sui toni del giallo, scandita da paraste di intonaco di colore giallo. E’ l’ unica stanza che ha tre finestre: due rivolti verso Corso Mazzini e una verso Vicolo Gherardi. Sul soffitto possiamo notare quattro riquadri costituiti da una cornice di fiori intrecciati e all’interno sono rappresentate: Flora, Venere e Amore, Flora e Amore. Le cornici sono disposte intorno all’ovale centrale in cui è rappresentato il ratto di Proserpina.
Esterno. L’ immobile è realizzato con mattoni. Il fronte principale a est è presente una muratura apparecchiata a ricorsi regolari. Questo è il fronte più curato. L’ingresso si trova in posizione centrale, il cornicione è intonacato.
Tra il piano terra e il primo piano è visibile un cornicione che si estende per tutta la lunghezza del frontesul quale si appoggiano le finestre del primo piano. Il portone d’ ingresso è racchiuso in un arco sorretto da paraste. Sopra di esso è posta una mensola decorativa.
Le aperture del secondo piano sono di dimensioni ridotte rispetto a quelle del primo piano, sono anch’ esse perimetrate da una cornice e posano su un davanzale. Tutte le aperture, tranne quelle del piano terra che è protetta da una grata di ferro, tutte le altre sono schermate da persiane di legno marroni.
Alla fine del Settecento, la famiglia si divise in due rami: i Gherardi-Martinelli e i Gherardi-Benigni: tra questi ultimi va ricordato il governatore Telesforo Benigni, che nel 1790 fece elevare Montalboddo a Città e ricompose il monumento di Ostra Antica presso largo del Murello. Le tre classi terze delle sezioni A-B-C, la II A la II B e la II C, con l’Insegnante, Giuseppina Coviello di Arte Immagine, che li ha seguiti, hanno preparato la guida delle visite effettuate in occasione delle Giornate Fai di Primavera, sabato 19 e domenica 20 Marzo 2016.
pagina a cura di Mario Maria Molinari