La Voce Misena
16 ottobre 2014
29 gennaio 2015
Due passi in collina
L’Abbazia di San Gervasio, il Santuario della Madonna delle Grotte, Il Borgo murato, la Chiesa Parrocchiale di Santa Giustina e la chiesa monumentale di Sant’Agostino
ITINERARI
Il comune al di là del Cesano custodisce tanto patrimonio artistico in una bella vallata che spazia sul mare.
Questa domenica andiamo a Mondolfo che sorge in collina sulla riva sinistra del fiume Cesano e davanti al mare Adriatico, in provincia di Pesaro pur appartenendo alla diocesi di Senigallia.
La valle del fiume è più ampia sulla sponda sinistra che appare come un’ampia terrazza molto più larga di quanto non sia la sponda destra, più scoscesa. In località Ponte Rio, lungo Strada Statale Pergolese, si trova l’Abbazia di San Gervasio di Bulgaria che ci riporta alle origini del cristianesimo nella Val Cesano.
La dedicazione paleocristiana al martire milanese Gervasio, fratello di Protasio, il cui culto era stato diffuso da S. Ambrogio a partire dal 386, farebbe risalire alle prime fasi della cristianizzazione del luogo di culto sorto lungo il diverticolo della Strada consolare Flaminia che, all’altezza di Cagli, piegava verso meridione e, percorrendo all’incirca l’attuale provinciale della Val Cesano, passando per Sterpettine, S. Gervasio e Senigallia,, giungeva sino ad Ancona, principale porto della media costa adriatica.
L’Abbazia di S. Gervasio, all’esterno si presenta a pianta basilicale a tre navate, all’interno risente dei rimaneggiamenti settecenteschi. Ancora è riscontrabile la struttura a tre volumi dell’abside anche se, entrando si vede in un primo tempo la sola navata principale.
L’altare è rivolto verso Oriente, dove nasce il sole. Circa a metà della navata, all’altezza dell’antico pavimento, attraverso il mattonato si legge chiaramente una precedente struttura che individua una porta. Tale accesso è ubicato su quella che è ritenuta la parte più antica della costruzione. Si tratta di una struttura a pianta quadrata, dalle murature più spesse.
Il luogo più suggestivo dell’intero complesso di S. Gervasio è la cripta sorretta da un’unica colonna in marmo cipollino, dominata dal grande sarcofago di stile ravennate, con le raffigurazioni più care ai primi cristiani: la Croce, i pavoni, il labaro costantiniano, l’edera.
Il sarcofago è databile fra il 500 e il 525 d.C. realizzato in marmo greco proconneso: i due pavoni ed il ripetersi del motivo della croce o del monogramma cristologico costantiniano rappresentano simbolicamente l’esaltazione di Cristo come imperatore vittorioso, con una corona d’alloro, nel giardino del Paradiso, dove abitano i pavoni che per i primi cristiani erano il simbolo dell’incorruttibilità della carne.
Imboccando via San Sebastiano che dalla Pergolese conduce a Mondolfo, si arriva alla chiesa di San Sebastiano, sorta nel 1479 quale ex voto della Comunità di Mondolfo per lo scampato flagello della peste, la Chiesa del XVI secolo è officiata dai Frati Conventuali che ne curarono l’ampliamento così che oggi si presenta nelle forme settecentesche.
L’attiguo convento subì diverse vicessitudini. La costruzione attuale è settecentesca a croce greca, con pala d’altare opera di Sebastiano Ceccarini; vi si vede la Madonna col Bambino ed i Santi Francesco e Sebastiano con, sullo sfondo, la veduta del Castello di Mondolfo come appariva nel ‘700.
Nel convento, oltre a Alessandro Borroni, insigne compositore di musica sacra dell’ ‘800, visse e lavorò Girolamo Maria Moretti, fondatore della scienza grafologica moderna che, proprio in questo luogo, portò a compimento i suoi studi. Oggi vi ha sede la Cattedra Internazionale di Grafologia, ‘G. Moretti‘.
Usciti dalla chiesa di San Sebastiano seguendo le indicazioni per il Santuario della Madonna delle Grotte che dista appena 3 km dal casello, si arriva ad “una Chiesa con un Pozzo al di fuori, edificata con pii sussidi de’ Fedeli in forma elegante, con Sagrestia e Casa annessa, con autorità ordinaria del già Vescovo Ranuccio de’ Conti de Baschi nell’anno 1682“.
“Nell’anno 1679 certo Clemente Briganti, confratello della Confraternita della Misericordia di Mondolfo, pose per “mera divozione” in un podere detto “delle grotte” e di proprietà della confraternita una statuina della Madonna del Rosario.
La cresciuta devozione popolare all’effigie, per l’intercessione della quale si venivano ad attribuire costantemente miracoli, portò nell’anno 1682 all’edificazione del Santuario, a spese dei fedeli e della confraternita.
Il santuario, ha una facciata disegnata secondo le cadenze proprie della sezione aurea, decorato con portali e finestre finemente lavorati in arenaria; sui gradini di accesso, si trovano alcune lastre di reimpiego provenienti dalla rocca martiniana di Mondolfo.
L’altare della Madonna delle Grotte è una macchina figurativa barocca che rappresenta, Maria, proclamata nel rosario Regina del cielo e della terra nella gloria degli Angeli e dei Santi.
il Santuario solennizza la Madonna delle Grotte con speciali feste a cadenza decennale (i Festeggiamenti Decennali), con appuntamenti religiosi, sociali, culturali e folcloristici che richiamano a Mondolfo migliaia di oranti devoti e visitatori.
Nel 1997 Papa Giovanni Paolo II volle personalmente incoronare il capo della Madonna delle Grotte in piazza S. Pietro a Roma, come ricorda l’epigrafe in chiesa.
Dalla bella pinetina che si trova accanto al santuario parte un itinerario che attraversa la “zona della Grotaccia”, un percosso nel luogo che un tempo fu rifugio di briganti.
È la Valle dei Tufi caratterizzata da formazioni marine del pliocene inferiore caratterizzate da sabbie ed arenarie talvolta debolmente cementate fra loro che ospitano una delle più numerose colonie di Gruccione delle Marche.
È possibile percorrerla in bici o a cavallo, passeggiarci da soli o con la famiglia o con gli amici senza incontrare alcuna difficoltà. Sulla sinistra si incontra il minuto abitato di Stacciola Villa, dal 1412 Feudo dei Mauruzi da Tolentino, e arroccato attorno alla parrocchiale bianca di calcina, dedicata a San Giovanni Evangelista.
Dal percorso, con la sua ricchezza di storia e monumenti, emerge sulla destra Il castello di Mondolfo, fondata attorno all’anno mille, cinto da due possenti cerchie di mura, con ricche chiese, conventi e nobili palazzi.
In origine il primo nucleo si chiamava Castel Marco. Tra il XIII e il XIV secolo allargò i propri confini e assunse il nome di Mondolfo,
Le dimensioni della prima cinta di mura rimandano a castelli bizantini del VI secolo: la lunghezza corrisponde esattamente a 400 piedi romani e gli isolati lungo l’arteria principale misurano 200 piedi. Un castrum di forma ovale con una superficie interna di un ettaro e una pianta piuttosto regolare con due strade ad angolo retto (cardo e decumano perfettamente orientati) al centro del recinto e che oggi ritroviamo con il Vicolo del Decumano.
La seconda cinta si presenta nella conformazione che volle dargli il genio dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1501) e cioè come una poderosa macchina da guerra in grado di essere difesa da un manipolo di uomini che evidenzia gli adattamenti del Castello alle mutate esigenze dell’arte bellica nell’ultimo decennio del Quattrocento.
Francesco Guicciardini nella Storia d’Italia (1537-1540) lo definiva come il «castello più forte e migliore del Vicariato, situato in una collina, in luogo eminente, cinto da fossi e da muraglie da non disprezzare».
Martini disegnò il perimetro murato della seconda cerchia con la caratteristica forma “a mandorla”, in ampia parte percorribile lungo i camminamenti di ronda. Ha uno sviluppo lineare di 714 metri e una superficie interna di tre ettari,
Lungo i camminamenti di ronda si possono ammirare le repliche di antichi pezzi d’artiglieria, collocati in spazi particolarmente vocati alla presenza di questi sistemi, come il Bastione di S.Anna o la piazzuola nell’area del Belvedere del Castello dove si trova un binocolo fisso da cui si può godere lo spettacolo del mare Adriatico aperto. Curioso l’alloggiamento del Posto di Guardia sito presso la Corte del Monastero.
L’armeria del Castello di Mondolfo trova sede in un suggestivo spazio ricavato lungo le mura. Conserva una vasta gamma di repliche di armi da difesa e da offesa proprie del Medioevo e del Rinascimento. Armi da taglio e da botta, scudi, elmi, un’ampia serie fra partigiane, ronconi e alabarde permettono di ricostruire gli armamenti delle milizie presenti a difesa del Castello, tanto fra i fanti quanto fra i cavalieri, specialità operanti nella guarnigione di Mondolfo. L’armeria caratterizza un progetto didattico curato con gli alunni dell’Istituto Comprensivo “Enrico Fermi” di Mondolfo.
Se Porta Nuova, uno dei tre accessi al Castello, è già attestata nel Ciquecento, solo nel 1531 iniziarono invece i lavori di costruzione del Bastione di S.Anna, dopo le distruzioni subite dal Castello con l’assedio di Lorenzino de’Medici nel 1517.
La Strata Magna o Via Grande (via XX Settembre – via Garibaldi) interamente percorribile, congiunge il varco di Porta S. Maria con la piazza del Castello, mentre un percorso in falsopiano – oggi corso della Libertà – favorisce il transito dei carri per vettovagliamento e munizioni unendo il varco di Porta Fano con la piazza centrale dell’abitato, dove sorge il Palazzo Comunale con la Torre civica.
La seconda cinta fu innalzata per racchiudere il Borgo in cui si trovava quella che è l’attuale Chiesa Parrocchiale Collegiata di Santa Giustina. L’edificio fu ricostruito a partire dal 1615. In origine era di misure più ridotte e raggiunse le dimensioni attuali con la ricostruzione che si concluse nel 1760.
La facciata a capanna con un piccolo rosone centrale in stile romanico è divisa in due ordini sovrapposti delimitata orizzontalmente da un cornicione. Il portale termina con architrave diritto sopra il quale è posto una lunetta scolpita con l’immagine della Madonna con Gesù Bambino, San Pietro e Santa Giustina.
L’interno è ad una sola navata con cinque altari laterali, oltre al Cappellone del Santissimo Sacramento, dove un altare con timpano e colonne corinzie incornicia l’Immagine della Madonna della Misericordia, Questo ambiente è illuminato da un oculo posto nella cupola che sormonta la cappella.
Nella stessa cappella si ammira pure la statua seicentesca policroma della Patrona S. Giustina, e l’effigie lignea di S. Emidio Vescovo e Martire, invocato contro i terremoti.
La navata è arricchita da tele dai vari soggetti, commentate da citazioni bibliche che ne riassumo il messaggio nei grandi cartigli al di sopra degli altari:
a sinistra troviamo S. Filippo Neri, l’Annunciazione, e S. Margherita Maria Alacoque, mentre a destra è senz’altro da ammirare il martirio di S. Stefano Protomartire, tela Settecentesca di buona mano, accanto alla quale si innalza l’altare ligneo intarsiato del Crocifisso.
Nelle vele della cupola del Presbiterio si trovano le tele con i Quattro Evangelisti, mentre nell’abside, sopra il coro del ’700, c’è la grande pala d’altare con cornice dorata della Madonna col Bambino, ed i Santi Giustina e Marino, contornata da due ovali raffiguranti a sinistra S. Girolamo e, a destra, S. Maria Maddalena mirrofora.
Sempre nel presbiterio, al lato dell’altare, vediamo la tela con l’Immacolata e i Santi Apollonia, Biagio, e Antonio Abate. Nella controfacciata si trova il prezioso organo antico “Gaetano Callido” opera 166 datata anno 1776.
Appena fuori della cinta muraria, in via Cavour, adiacente il comodo parcheggio, fra largo Matteotti e via Marconi, si trova la chiesa di S. Maria del Soccorso, conosciuta fin dalle origini come chiesa di Sant’Agostino.
La chiesa di Sant’Agostino, parte integrante dell’omonimo complesso monumentale, si presenta al visitatore con un esterno semplice. Ha una architettura tardo cinquecentesca con rimaneggiamenti interni del 1700. La facciata nel 1726 fu abbellita con tre eleganti portali in arenaria con motivi decorativi di gusto rinascimentale.
La fabbrica in laterizio rosso, immette ad un interno che sorprende per lla maestosità dell’unica ampia aula, con volta a botte, che dà ragione dell’imponenza esterna dell’edificio.
Il presbiterio, con la mole dell’altare maggiore lavorato in marmi policromi, introduce all’abside. Lo spazio è interamente occupato dal grande coro settecentesco dalla ricca lavorazione in radica di noce con al centro il badalone.
Nell’abside si ammirano la suggestiva opera di Pietro Tedeschi che ritrae la Madonna del Soccorso, dove la Vergine accorre in aiuto di una madre scacciando il demonio che tenta di rapirne il figlio. A alla sua sinistra e a destra si sviluppa la teoria dei Santi Agostiniani e delle Sante Agostiniane del pittore fanese Sebastiano Ceccarini (1703-1783). Degna di nota anche la controfacciata che offre ospitalità a cantoria e mostra d’organo.
Lungo le pareti dell’aula si trovano ben dodici altari finemente scolpiti, intagliati, dorati e impreziositi nelle lesene da resti di pitture murali, che scandiscono la ritmicità della navata.
Un’importante galleria di opere d’arte dei maggiori artisti marchigiani del Cinque-Seicento con pale d’altare di Giovan Francesco Guerrieri da Fossombrone, Girolamo Cialdieri di Urbino, Claudio Ridolfi di Verona, bottega del Barocci di Urbino, Giuliano Presutti da Fano, Pietro Tedeschi di Pesaro e Sebastiano Ceccarini da Fano.
Merita senz’altro una visita la sacrestia, dalle ampie dimensioni e interamente ricoperta sui quattro lati da mobili seicenteschi in noce, scanditi con paraste dai capitelli ionici.
Il grande chiostro seicentesco, a lato del sacro edificio, arricchisce la visita, in un luogo dove è ammirabile anche lo svettante campanile, che ospita il grande concerto di campane, famoso per la sua armoniosità in tutta la Valcesano.
La chiesa e il convento di Sant’Agostino a Mondolfo furono edificati nel XIII secolo dai monaci eremitani di sant’Agostino. L’aspetto attuale risale ai lavori eseguiti fra il 1586 e il 1593 e alle ristrutturazioni del Settecento.
Nel tardo cinquecento la chiesa venne ridedicata alla Madonna del Soccorso, una delle devozioni più care agli agostiniani. Nel 1734 iniziarono i lavori per la costruzione della cappella dedicata a san Nicola da Tolentino e nel 1760 si pose mano alla volta dell’abside.
La chiesa fu consacrata il 31 maggio 1654 come si ricava da una iscrizione sopra la porta che conduce dal coro in sagrestia.
I bellissimi altari, scolpiti in legno o lavorati in pietra, si avvicendano sui due lati della navata. I dipinti che vi si conservano sono quasi tutti della prima metà del Seicento.
LATO DESTRO, dalla controfacciata verso l’altare maggiore:
il primo altare destro entrando conserva due capolavori. In alto, una lunetta raffigurante Madonna con Bambino e due angeli adoranti, riconducibile a Iohannes Hispanus (sec. XVI), parte di un più grande quadro andato disperso e, sotto, la grande pala raffigurante la Madonna della Gatta, opera della Bottega di Federico Barocci e ascrivibile alle tele che uscirono dallo studio urbinate dell’artista fra il 1588 ed il 1593;
nel secondo altare si trova la statua di San Giuseppe;
nel terzo (altare della nobile Famiglia Giraldi della Rovere, il cui stemma si vede intagliato alla base della colonna sinistra) e quarto altare si possono ammirare due tele del Veronese Claudio Ridolfi (1570-1644) che raffigurano un sant’Antonio Abate, un Paolo Eremita (dipinti dopo il 1621) e una Madonna con Bambino e i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista;
la tela del quinto altare raffigura il Martirio dei Santi Simone e Giuda ed è firmata e datata 1649 da Giovan Francesco Guerrieri (1589-1657);
al sesto altare destro quindici piccole tele di un anonimo pittore marchigiano del primo Seicento rappresentano i Misteri del Rosario e circondano un dipinto della Madonna del Buon Consiglio del XVI secolo.
Sempre sul lato destro si apre la cappella di San Nicola che ospita la grande statua in legno policromo (fine sec. XVII – inizio XVIII) e, sulle pareti, due belle tele realizzate dal bolognese Alessandro Tiarini (1577-1668): si tratta del Miracolo di San Nicola (il dipinto rappresenta un miracolo avvenuto durante una processione in tempo di peste) e della Vergine con Bambino e i Santi Nicola da Tolentino e Antonio da Padova.
LATO SINISTRO, dalla controfacciata verso l’altare maggiore:
il primo altare a sinistra conserva l’Adorazione dei pastori, una copia di un dipinto di Tiziano;
nel secondo altare si trova il Volto della Vergine, un dipinto probabilmente di Claudio Ridolfi, e un san Carlo Borromeo genuflesso del 1615 del pittore fiammingo Ernest van Schayck di Utrecht (1567-1631), attivo nelle Marche all’inizio del Seicento;
nel terzo altare a sinistra, un Crocifisso in legno policromo, opera marchigiana del sec. XVII;
al quarto altare si trova un Cristo Crocifisso, la Maddalena, san Giovanni e la Vergine di Giuliano Presutti (1531);
la tela con La Vergine col Bambino e due Santi Martiri del quinto altare è attribuita a Girolamo Cialdieri (1593-1680), allievo di Ridolfi,
La pala conservata nel sesto altare raffigura La Madonna della cintura con i santi Agostino e Monica opera del Guerrieri (XVII sec).
In fondo alla navata sinistra si trova il quadro che raffigura La carità di San Tommaso da Villanuova di Claudio Ridolfi, sotto a questa, entro la teca, una Pietà in pietra arenaria policroma di scuola tedesca degli inizi del sec. XV, attualmente a sinistra dell’altare maggiore, ma che doveva essere collocata in origine nel IV altare a sinistra al posto della Crocifissione del Presutti.
Tornati nella navata, meritano attenzione, tra l’arredamento, i tre banconi di legno della fine del sec. XVI, di cui il principale commissionato dal comune di Mondolfo ‘per servigio del magistrato et consiglieri et principalmente per il signor podestà‘, realizzato fra il 1595-‘96 dai maestri marangoni locali Camillo Carloni e Bernardino Moschetta su commissione del comune di Mondolfo, dove vi sedevano le magistrature cittadine durante le funzioni ufficiali. Sulla cimasa è scolpito lo stemma del comune di Mondolfo.
Annesso alla chiesa venne costruito il Convento dei Frati Eremitani dell’Ordine di Sant’Agostino. Allo spazio conventuale si accede attraverso due ingressi, quello Maggiore e quello Napoleonico, il primo risalente all’impianto originale del monumento, e il secondo voluto all’epoca del Buonaparte per assicurare una diversa destinazione degli spazi, ormai soppresso il convento.
Vi sono da due ampi cortili: il cortile del lavoro, presso il quale avevano sede i magazzini e il seicentesco chiostro racchiuso da un bel porticato di colonne in pietra, sui cui due lati sono visibili le lunette affrescate con Storie di S. Agostino (XVII sec.) raffiguranti scene della vita del Santo ispirate alle illustrazioni del fiammingo Schelte Adamsz Bolswert (1586-1659).
Al centro del chiostro si trova un pozzo con una piccola vasca di pietra, sorretta da due lastroni scolpiti con motivi decorativi.
Nel 1914, la chiesa fu trasformata in magazzino. Riaperta nel 1922, venne nuovamente chiusa nel 1976. I restauri condotti dal 1981 al 1990 hanno interessato sia la chiesa che i dipinti che conserva.
Oggi numerosi spazi del complesso conventuale sono adibiti a funzioni culturali, trovandovi pure sede il Salone Aurora ed il Salone S. Agostino (quest’ultimo ricavato nell’antico refettorio), oltreché il Museo Civico ed altri spazi per convegni, mostre ed incontri.
pagina a cura di Mario Maria Molinari