la Voce Misena
5 maggio 2016
due passi in città
Sentieri di storia
ITINERARI
Guidati da un libro: Castelpetroso, Senigallia, Barbara e Genga.
La Voce Misena vi invita a visitare un percorso storico artistico che porta dai Longobardi al ruolo della chiesa abbaziale di Santa Maria Assunta, a Barbara.
Il percorso storico-turistico intitolato: Sulle orme dei Longobardi di Castelpetroso, Senigallia – Barbara – Genga, pubblicato dell’amministrazione comunale, mette in rapporto la chiesa abbaziale di Santa Maria Assunta con le grandi abbazie di San Vittore e di San Gaudenzio a Senigallia, senza trascurare il lascito culturale ed artistico dell’abbazia di Sitria alle pendici del Catria e quella di San Gervasio di Bulgaria a Mondolfo.
Ettore Baldetti ha approfondito il tema della presenza dei Longobardi del gastaldato di Castelpetroso, fra Pierosara di Genga e il territorio Senigalliese. Ilaria Fiumi Sermattei illustra la storia della famiglia della Genga, che diede i natali ad Annibale Genga, futuro papa Leone XII (1823-1829), che precedette di poco l’ultimo papa Re, il senigalliese Pio IX.
Il Comune di Barbara si propone come tappa intermedia per i turisti che da Senigallia siano diretti alle Grotte di Frasassi e viceversa come una sosta culturale per turisti che da Genga si dirigono verso la Spiaggia di Velluto.
Il Sindaco di Barbara, Raniero Serrani, ha presentato alla stampa venerdì 6 maggio 2016, nella Biblioteca Antonelliana di Senigallia, il depliant storico-turistico intitolato Sulle orme dei Longobardi di Castelpetroso, Senigallia – Barbara – Genga, pubblicato dell’amministrazione comunale.
Il depliant è realizzato con il contributo della Banca di Credito Cooperativo di Ostra Vetere, verrà stampato in 2.000 copie e verrà distribuito nelle biblioteche e negli uffici turistici del territorio. Il prof. Ettore Baldetti, deputato della Deputazione di Storia Patria per le Marche, che ha curato i testi, con la collaborazione di Ilaria Sermattei.
Barbara fu l’avamposto Longobardo alle spalle di Senigallia, quando questa faceva parte della Pentapoli Marittima, insieme ad Ancona: Rimini, Pesaro e Fano.
Conquistata gran parte della penisola italiana, sottratta ai Bizantini sul finire dell’VI secolo, la popolazione barbarico-germanica dei Longobardi doveva difendere i propri territori dal tentativo di recupero dell’imperatore di Bisanzio – odierna Istanbul e antica Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente –, che nella costa marchigiano- romagnola deteneva un complesso di 5 città portuali destinate al collegamento tra il porto della capitale italiana, Ravenna, ormai impaludato e inutilizzabile per le grandi navi, e lo scalo marittimo di Ancona: Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia .
Per questo creò, ai confini del proprio regno, dei distretti militari in zone strategiche, definiti gastaldati, uno dei quali ebbe la propria sede centrale nel frequentato incrocio viario fra le gole della Rossa, sul fiume Esino, e di Frasassi, sul Sentino, cioè a Castelpetroso, attuale Pierosara, frazione di Genga.
Da qui i Longobardi controllavano l’entroterra adriatico, esino e miseno, giungendo fino ai confini del territorio senigalliese con i propri avamposti, che si incentravano nell’insediamento collinare dell’attuale comune di Barbara, il cui nome deriva appunto dall’appellativo che i bizantini di lingua greca conferivano a quest’area, ‘barbara’ cioè ‘straniera’, poi volgarizzato nel romanzo ‘La Barbara’.
Con la definitiva sconfitta dei Longobardi, nel 774, ad opera del re franco Carlo Magno poi fondatore del Sacro Romano Impero, cioè di sacra ispirazione cristiana, i nobili longobardi, per mantenere il controllo del territorio e dei loro possessi, li donarono ad enti ecclesiastici dipendenti dal papa, che permettevano però di scegliere i dirigenti responsabili, fra parenti, amici o soci: le abbazie di San Vittore alle Chiuse, presso il capoluogo di Pierosara, ai confini del territorio di Senigallia, San Gervasio di Bulgaria, nei pressi di Mondolfo, il cui nome era legato alla popolazione protobulgara al seguito dei Longobardi, e di San Gaudenzio di Senigallia, sulle pendici della collina di Sant’Angelo.
Con il decorrere di tempo il territorio di Barbara, prima di ospitare un comune di castello collegato alla potente Jesi, divenne feudo ecclesiastico affidato all’abbazia riformatrice di Santa Maria di Sitria, fondata dal santo monaco benedettino Romualdo da Ravenna nei pressi del Monte Catria e trasformata nel 1453 in commenda secolarizzata gestita da cardinali di grandi famiglie romane, come Cesi, Barberini e Albani, i quali eressero una monumentale chiesa abbaziale a Barbara, nuova sede amministrativa dei beni abbaziali, estesi dal Senigalliese all’umbro Tadinate.
Il tempio neoclassico, opera dell’architetto Francesco Ciarafoni, tutt’ora esistente e visitabile, oltre a custodire i ritratti di tutti gli abati – fra i quali l’abate cardinale Giovanni Michiel, vittima delle mire familiari del successore papa Alessandro VI Borgia – e dipinti del Pirri, Trevisani, Sigismondi, nonché attribuzioni al Pomarancio e al Domenichino, dispone di suggestive statue della scuola di Sant’Ippolito, di un pittoresco battistero e di un museo impreziosito dai ricchi doni degli abati.
Ai Barberini si deve invece la ristrutturazione seicentesca della chiesa quattrocentesca dedicata alla patrona Santa Barbara, donata al Comune da un fondatore privato, che volle così ringraziare la santa per essersi salvato dal cannoneggiamento subito dall’omonimo castello nell’assedio malatestiano del 1461.
La riedificazione del palazzo abbaziale, attuale municipio, è legata al cardinale Annibale Albani, nipote del papa che frequentemente si intratteneva in questa sede periferica dove era stato seguito da componenti di un ramo della potente casata romana dei Mattei, che ospitò Caravaggio agli inizi del ‘600.
L’entratura nella corte imperiale di Annibale, nunzio apostolico della Santa Sede a Vienna nel 1709, del fratello cardinale Alessandro, protettore e ambasciatore del sovrano austriaco a Roma fra 1743 e 1748, o di suo nipote, il cardinale abate Giovan Francesco Albani, dovettero permettere al barbarese Mario Mattei di essere nominato nel 1756 vicario del governatore imperiale e giudice “de’ malefici” della città di Trieste, il più importante scalo marittimo dell’Impero d’Austria nel Mare Adriatico.
Un rampollo ottocentesco della stessa nobile famiglia, Giacomo Mattei, amministratore dei beni degli Albani, fu il primo senatore del Senigalliese nel nuovo parlamento del Regno d’Italia, prima di diventare sindaco di Pesaro e presidente della Cassa di Risparmio cittadina.
Oggi Barbara ospita i turisti con i suoi ristoratori, che offrono le specialità dell’entroterra collinare accompagnate dalla rinomata produzione eno-gastronomica locale: il pane, ricavato dalle farine del molino documentato fin dagli inizi del Duecento, e il vino Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Dall’originario Castelpetroso gli eredi del potere gastaldale, cioè i conti d’età franco-feudale, si trasferirono nella prossima e ospitale sella rocciosa o ‘Genga’, da cui derivarono il nome del castello avito e della casata.
La nobile famiglia agli inizi dell’Ottocento ha dato i natali al pontefice Leone XII (1823-1829), Annibale della Genga, al quale è attualmente dedicato un progetto pluriennale di ricerca nonché espositivo nella chiesa avita di San Clemente, anticamente condivisa con i consanguinei Atti, poi signori di Sassoferrato, Barbara e Serra de’ Conti.
pagina a cura di Mario Maria Molinari