Il personaggio Il senigalliese Enea Discepoli esplora la creatività con Zelig.
Ora esce il suo ultimo libro, la Pentax lo ha voluto nel suo Photograpic Team.
<Sono sempre andato ‘Oltre la Frontiera’ sin da quando nel ’67, a sedici anni, ho intrapreso la mia prima avventura andando ad incontrare una comunità hippy nell’isola di Creta>.
Enea Discepoli ha esplorato per tanti lunghi anni la creatività oltre i limiti della diversa abilità, con il suo laboratorio Zelig, situato in via Cattaro, ma presente in ogni angolo della città in cui si dovessero spiazzare i preconcetti sui diversi, con dolcezza e fantasia.
Ora sta per uscire il suo ultimo libro ‘Olte la Frontiera’ grazie all’associazione Sena Nova, guidata da Camillo Nardini, e naturalmente dalla Pentax, che lo ha voluto nel suo Photograpic Team in qualita di Ambassador.
Sarà presentato alla Biblioteca Antonelliana, martedì 13 dicembre alle ore 17.30.
Dal 2011 Enea è andato ogni anno in Siria, molte volte ad Aleppo, a testimoniare <le vittime inconsapevoli>.
Perché le chiami inconsapevoli e non innocenti come verrebbe più immediato?
<La differenza sta nell’atteggiamento della gente -mi spiega -. Per ricaricarmi moralmente vado spesso anche in India. Il nuovo libro testimonia l’attenzione per gli ultimi, i dimenticati, i disperati della Siria e dell’India.
Dove sei stato in India?
<In India – racconta – sono andato nel Territorio di Pondicherry. Qui un governo locale conservatore ha ripristinato le caste ed io ho fotografo la condizione dei ‘dalit’, ‘gli intoccabili’ a cui viene negato perfino il permesso ai funerali.
In india quei dalit non sono vittime inconsapevoli, lottano, vanno nelle università dove i professori progressisti li iscrivono di nascosto, mentre in Siria c’è rassegnazione, le vittime vanno al macello che le circonda senza sapere a chi rivolgersi>.
Discepoli è un viaggiatore di professione nel senso che per lui viaggiare è sempre stato un lavoro.
<Nella parola avventura c’è la stessa radice di avvento – spiega- con il senso dell’attesa delle cose che devono avvenire.
In passato guardare mi prendeva ogni energia e il grande ingombro dell’attrezzatura fotografica con la pellicola, mi infastidiva. Con l’arrivo del digitale, usare la macchina fotografica è diventato più semplice. Ormai – conclude – l’obiettivo è diventata una mia protesi>.
È in corso la mostra fotografica collettiva itinerante ‘Art against conflict’: <l’arte per aprire le coscienze all’integrazione, all’incontro, al dialogo, alla contaminazione vera che ci fa evolvere che indaga il rapporto fra fotografia e giornalismo e il ruolo dell’immagine nell’informazione di oggi. Cosa cidice inproposito?
<Non sono un fissato della tecnica: la mia K-5 è corredata da 18-55 mm, poi ha un 300 mm, molte delle migliori foto le ha scattate addirittura in modalità green.
Per me l’importante è il progetto, l’organizzazione del viaggio, mettersi nelle condizioni di vedere e fotografare ciò che mi interessa>.
Lei, senigalliese di Roncitelli, nella pagina di Facebook dice di essere nato ad
Aleppo?
<Il mio andare oltre oltre la frontiera è sempre stato un atto estroverso e mai introverso, mai per prendere. Le immagini dell’ultimo libro sono rimaste attaccate alla protesi della mia retina>.