L'economia cinese contemporanea. Imprese, industria e innovazione da Deng a Xi
L’economia cinese contemporanea. Imprese, industria e innovazione da Deng a Xi

“L’economia cinese è essenzialmente socialista, o deve invece essere vista come un’economia capitalista di Stato o un’economia capitalista ibrida?” (p.213).

Alberto Gabriele, tenta di rispondere alla domanda scomponendola in sette sotto-domande:

1. Quale quota dei mezzi di produzione è socializzata?

2. Quale potere economico relativo ha lo Stato rispetto ai singoli attori?

3. Qual è il rapporto di forze tra piano e mercato?

4. Quanto riesce il sistema a promuovere lo sviluppo delle forze produttive e il progresso tecnico?

5. Quanto è efficace nella lotta alla povertà?

6. Quanto è vicino a realizzare il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro” e a promuovere una distribuzione del reddito relativamente egualitaria?

7. Quanto è in grado di stabilire un rapporto sostenibile con la natura?” (p. 226)

Negli ultimi quarantacinque anni la Repubblica popolare cinese ha compiuto uno straordinario “balzo in avanti”, di portata storica senza precedenti.

Tra i Paesi più poveri al mondo nel Novecento, oggi ha sopravanzato i tradizionali leader dell’Occidente, arrivando a competere direttamente con gli Stati Uniti in numerosi ambiti strategici – dall’industria all’innovazione tecnologica, non da ultimo l’aspetto militare.

Il secolo in corso sarà caratterizzato inevitabilmente dalle modalità e dagli esiti di questo incontro, che determinerà la configurazione e il corso del sistema globale.

Quali sono stati i fattori strutturali di questa impetuosa modernizzazione?

Quali scelte hanno sospinto la crescita e l’evoluzione delle imprese produttive?

Quali elementi hanno permesso la creazione di un sistema nazionale di innovazione progressivamente autonomo da quello occidentale?

Quali peculiarità esprime il modello di Pechino, definitosi “socialismo con caratteristiche cinesi”?

Il libro, con rigore scientifico e profondità di prospettiva, analizza i pilastri fondamentali dello sviluppo della Repubblica popolare cinese, con particolare focus sulla natura e sulle scelte di politica industriale e sulla centralità strategica dell’innovazione tecnologica indipendente, oggi messe alla prova dal conflitto – non solo commerciale – con Washington.

Il sottotitolo del libro “Imprese, industria e innovazione” introduce agli argomenti portanti.

L’evoluzione della struttura dei diritti di proprietà delle imprese e il ruolo del partito-stato nel promuovere innovazione tecnologica e scientifica qualificano e definiscono, secondo Alberto Gabriele, la natura del modello di sviluppo economico della Repubblica popolare cinese.

Gabriele si concentra sulla  funzione “storica” delle TVEs (Township and village enterprises) definite “imprese non capitaliste orientate al mercato”.

“Sono imprese di proprietà dei governi locali e società per azioni private formate da contadini e altre forme di imprese individuali e collettive. “Poiché i diritti di controllo residui erano detenuti dai governi locali, la comunità stessa «divenne una società de facto o un “miniconglomerato”».”(p.89) Erano considerate sostanzialmente come agenti destinati a migliorare le condizioni di vita della comunità locale.” (p.87)

“In primo luogo, con il termine ‘orientata al mercato’ si identificano tutte quelle imprese che vendono i propri prodotti (o servizi) in uno o più mercati, ivi incluse quelle imprese che perseguono obiettivi complementari o totalmente diversi dalla massimizzazione del profitto, alcune delle quali operano in mercati che sono monopoli o quasi-monopoli.

In secondo luogo, (…) comprendono tutte quelle imprese orientate al mercato che differiscono dal modello della classica impresa privata – un’unità produttiva che persegue fondamentalmente la massimizzazione del profitto, che si serve di manodopera non familiare, ed è dotata di pieni diritti di proprietà.” (p.60)

Non nega che esse abbiano sperimentato un processo di concentrazione e privatizzazione negli anni ’90, ma enfatizza il carattere cooperativo e la proprietà collettiva che nel processo di riforma le hanno distanziate da “normali” imprese orientate al profitto.

Il libro enfatizza come una struttura di diritti di proprietà “ibrida”, o comunque non chiaramente e unicamente privata, abbia svolto una funzione fondamentale sia nella fase iniziale del decollo economico, sia nel protrarre un pervasivo controllo azionario che il Partito-Stato ancora esercita su moltissime imprese miste.

La seconda parte del volume analizza il ruolo centrale che ha avuto il partito-stato nel creare un sistema nazionale di innovazione dal notevole successo. Secondo Alberto Gabriele, tale sistema di innovazione ha quattro principali caratteristiche:

“i) la capacità e la volontà dello Stato di destinare alla ricerca e sviluppo una quota molto elevata e crescente del surplus nazionale;

ii) il ruolo predominante svolto da attori non privati come le università pubbliche, i centri di ricerca, le organizzazioni governative, le imprese statali e a partecipazione statale;

iii) la portata, l’impatto, la rilevanza e l’ambizione dei piani nazionali di ricerca e sviluppo a lungo termine; iv) l’ampia gamma, la pervasività e l’incidenza dei piani locali di ricerca e sviluppo”.

Il successo dell’innovazione made in China è oggi difficile da confutare anche per i più critici.  Nell’arco di poche decadi, la Cina ha rapidamente risalito le catene globali del valore, arrivando a competere direttamente con gli Stati Uniti sulla frontiera tecnologica e diventando il primo paese al mondo per numero di brevetti.

Gabriele sottolinea due fonti cruciali che hanno permesso questa ascesa in ricerca e sviluppo.

In primo luogo, la dimensione spaziale e demografica della Cina ha rappresentato “una condizione necessaria (ma non sufficiente) per consentire al suo Sistema Nazionale di Innovazione di balzare al secondo posto a livello mondiale, in una fase in cui il livello generale di sviluppo economico nazionale è ancora relativamente più arretrato (il Pil pro capite della Cina nel 2022 si è classificato al 72° posto tra 179 Paesi).

In secondo luogo, pianificazione strategica e controllo sul sistema finanziario hanno permesso alla Cina di canalizzare moltissime risorse economiche verso centri di ricerca ed università pubbliche incaricate di condurre parallelamente ricerca di base e applicata.

Alberto Gabriele sottolinea come il carattere non prettamente privatistico e orientato al profitto di breve periodo abbia permesso al sistema di innovazione cinese di socializzare il rischio e creare dei forti effetti di spillover tecnologico tra pubblico e privato nella circolazione dei risultati della ricerca di base.

Sviluppo, produzione e commercializzazione dei risultati della ricerca sono diventati obiettivi di interesse nazionale che hanno coinvolto tutte le imprese, a prescindere dalla tipologia di proprietà, con il fine di “massimizzare l’impatto sistemico complessivo sullo sviluppo dell’economia nazionale”.

Imprese private cinesi di grandissimo successo come Oppo, Xiaomi, Huawei, Tencent, Alibaba, JD, Baidu, Lenovo, Douyin (Tik Tok), solo per citare le più famose, sono il risultato di questa compenetrazione tra ricerca pubblica e commercializzazione privata.

“Lo Stato socialista sembra avere preso atto che in alcuni settori chiave il ruolo centrale della grande impresa privata – controllata dallo Stato solo indirettamente attraverso canali formali e informali di natura non esclusivamente finanziaria – è insostituibile e che può promuovere lo sviluppo economico e tecnologico, il benessere sociale e la stessa sicurezza nazionale in modo più efficiente di quanto non potrebbero fare la maggior parte delle aziende statali o a partecipazione statale, nonostante i grandi progressi compiuti soprattutto grazie al processi di corporatizzazione.” (p.199)

Un ultimo aspetto va sottolineato da Gabriele sulla natura del “socialismo con caratteristiche cinesi”: nonostante le imprese sopracitate siano formalmente private, Gabriele enfatizza come queste non rappresentino “una grande borghesia”:

“almeno per adesso, una grande borghesia identificabile come classe vera e propria, e tantomeno come classe dominante” non esiste.

Tuttavia, “Esistono grandi imprenditori-capitalisti (…) che costituiscono certo un nuovo gruppo sociale la cui importanza non può essere ignorata, malgrado la sua esiguità numerica”.

Eppure, “questo gruppo sociale non costituisce una classe vera e propria” assimilabile alle grandi borghesie nazionali dei Paesi capitalistici. Tale “assenza di una grande borghesia costituisce un forte elemento di differenziazione tra la Repubblica popolare cinese e il mondo capitalista”.

Alberto Gabriele sostiene che i grandi imprenditori cinesi siano privi delle caratteristiche fondamentali di cui godono i capitalisti nostrani. Questi sono esclusi dalla sfera militare e non hanno la capacità di esercitare “un’egemonia cultura complessiva sulla società”, ma sono piuttosto “arruolati” dal partito-stato al fine di promuovere l’ascesa tecnologica ed industriale del paese. (Dario Di Conzo, laureato in Relazioni Internazionali ‘China and Global Studies’ all’Università di Torino e studente di dottorato presso la facoltà di scienze politiche e sociali alla Scuola Normale Superiore di Pisa)

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