LA MONTAGNA INCANTATA
Di Thomas Mann (Autore)
Ervino Pocar (Traduttore)
La montagna incantata è un fedele, complesso, esauriente ritratto della civiltà occidentale del Novecento.
Ambientato in un sanatorio svizzero, il celebre Berghof di Davos.
Quando il protagonista, il giovane Hans Castorp, vi arriva, è il tipico tedesco settentrionale, un solido e rispettabile borghese; ha però le sue curiosità spirituali ed è intellettualmente aperto all’avventura.
A contatto con il microcosmo del sanatorio, vero e proprio panorama di tutte le correnti di pensiero dell’epoca, il suo carattere subisce un’evoluzione e un incremento: passa attraverso la malattia (Behrens e Krokowski), l’amore (la signora Chauchat), il razionalismo e la gioia di vivere (Settembrini), il pessimismo irrazionale (Naphta), senza che nessuna di queste posizioni lo converta.
Ma in mezzo a tante forze contrastanti, Castorp trova il proprio equilibrio. Dopo essere stato convertito alla vita Castorp tornerà alla pianura per perdersi nell’inutile strage della “Grande” guerra.
Alla vigilia di un’altra strage, «Che devo dire ore del libro stesso e del modo in cui lo si dovrebbe leggere? – disse Mann, parlando agli studenti di Princeton nel 1939 – Comincio con una richiesta arrogante: che lo si deve, cioè, leggere due volte.
Questa richiesta va beninteso ritirata subito, qualora la prima volta il lettore si sia annoiato.
L’arte non deve essere un compito di scuola , una fatica, un’occupazione contre coeur, ma vuole e deve procurare gioia, divertimento, animare, e chi non sente quest’effetto dell’opera d’arte gli conviene lasciarla lì e volgersi ad altro.
A chi invece è arrivato in fondo alla montagna incantata ; do il consiglio di leggerla una seconda volta, poiché la sua particolare fattura, il suo tipo di composizione fa si chela seconda volta il piacere del lettore sarà maggiore e più profondo …,
come d’altronde anche la musica bisogna conoscerla già per goderla appieno non a caso ho detto composizione, parola che di solito è riservata alla musica… è l’idea dell’uomo, la concezione di un’umanità futura, passata attraverso la più profonda conoscenza della malattia e della morte.
“Ci sono due strade” dice a un certo punto Hans Castorp a madame Chauchat che conducono alla vita: una è la solita, diretta, onesta. L’altra è brutta, porta attraverso la morte ed è la strada geniale.” Questa concezione della malattia della morte come passaggio obbligato al sapere, alla salute e alla vita fa della Montagna incantata un romanzo di iniziazione (initiation story).
Non è una definizione mia. Mi fu suggerita, in seguito, dalla critica e io l’adotto poiché vi devo parlare della Montagna incantata.
Accetto volentieri gli aiuti della critica altrui, perché è errore credere che l’autore sia colui che meglio conosce può commentare la propria opera. Lo è forse fin tanto che vi indugia e vi sta lavorando. Ma un’opera compiuta e lasciata alle spalle gli diventa sempre più estranea, distaccata, e col tempo gli altri ne sono informati e vi si raccapezzano meglio di lui, sicché possono rammentargli molte cose che egli ha dimenticate o forse non ha neanche sapute mai con chiarezza. In genere, si ha bisogno di essere ricordati a se stessi.
Non sempre si e in possesso di sé, la nostra autocoscienza è debole in quanto le cose nostre non sempre ci sono presenti. Soltanto in momenti di rara chiarezza, di raccoglimento e perspicuità sappiamo veramente chi siamo, e può darsi che questa sia in buona parte l’origine della sorprendente modestia dei grandi uomini: per io più essi sanno poco di sé, non sono presenti a se stessi e a buon diritto si sentono uomini comuni.
Comunque sia, è pur sempre attraente ricevere dalla critica chiarimenti dell’essere nostro, ottenere istruzioni su opere del nostro passato e farci riportare ad esse, mentre di rado mancherà la sensazione che meglio di tutto possiamo esprimere in francese: “Possible que j’ai eu tant d’esprit?”.
La mia costante frase di ringraziamento per siffatte gentilezze e questa: “Le sono molto obbligato di avermi così amichevolmente ricordato a me stesso”…
Castorp cercatore di Graal — non lo avrete pensato quando leggevate la mia storia e, se io stesso lo pensai, fu più e meno che un pensiero.
Fate il favore di rileggere il libro sotto questo angolo visuale: troverete allora che cosa sia il Graal, il sapere, l’iniziazione, quel “supremo” che non solo l’ingenuo protagonista, ma anche il libro stesso vanno cercando.
Lo troverete soprattutto nel capitolo intitolato “Neve” dove Castorp, smarrito in altitudini mortali, sogna il suo onirico poema dell’uomo. Il Graal che egli, anche se non lo trova, intuisce nel suo sogno quasi mortale prima di essere trascinato dalla sua altezza nella catastrofe europea, è l’idea dell’uomo, la concezione di un’umanità futura, passata attraverso la più profonda conoscenza della malattia e della morte.
Il Graal è un mistero, ma tale è anche l’umanità: poiché l’uomo stesso è un mistero, e ogni umanità è fondata sul rispetto del mistero umano.
Thomas Mann
Princeton, maggio 1939