La Fame è una malattia che va curata.
E’ un ormai riconosciuto e affermato dalle persone di buon senso e, verrebbe da dire dagli uomini di buona volontà, che la fame nel Mondo sia dovuta agli squilibri economici e ambientali prodotti da una gestione dissennata dell’economia mondiale. Il motto dell’Esposizione Universale di Milano 2015 è: “Nutrire il Pianeta”.
Può essere interessante svolgere la visita al Decumano e al Cardo milanesi alla luce dell’antica vicenda di Erisittone. Empio e violento, Erisittone non temeva la collera degli dei. Abbatté deliberatamente un bosco sacro a Demetra con l’intenzione di costruirsi una sala da pranzo. Con questo gesto il mitico principe tessalo, figlio del re Triopa, si oppose al culto di Demetra, una divinità femminile greca: che conservava i tratti di un’antichissima divinità materna della Terra, direttamente espressa dal nome, nel quale l’etimologia antica individuava un primo elemento Δη- (o Δā-), equivalente a Gā, Gaia, la «Terra».
La narrazione più completa del mito di Erisittone si trova nelle Metamorfosi di Ovidio, Libro VIII, versi 738-878. Ma oltre alla metafora del dello speculatore incontentabile, avaro e violentatore della Terra, condannato a morire di fame, la poesia di Ovidio ci propone un concetto che ancora facciamo fatica a comprendere: la fame è una malattia.
E’ una malattia del Pianeta, che occorre curare con la buona politica, ma è anche una malattia dell’individuo, che va affrontata con i mezzi e i metodi, con cui si curano le malattie di cui si riconosce il rimedio. Occorre dare da mangiare agli affamati.
Charles Segal, nel suo saggio “Il Corpo e l’Io nelle Metamorfodsi di Ovidio” che presenta la bella edizione della Fondazione Lorenzo Valla, ci ricorda che con l’espressione: “e con tutto ciò che mangia, c’è sempre un posto vuoto”, Ovidio richiama la dimensione corporea della fame: “al posto del ventre c’era un posto per il ventre”.
In Ovidio il crimine di Erisittone è esso stesso un atto di mutilazione: quando egli attacca l’albero nel bosco sacro è come se facesse un taglio in un corpo umano, poiché l’albero trema, geme e impallidisce, come una persona vivente. In modo appropriato la fine di Erisittone giunge non come un lento deperimento da fame, ma come un violento strappare, mordere e lacerare la carne, quando l’uomo affamato volge la sua furia contro se stesso.
La fame agisce su Erisittone con un movimento aggressivo dei denti, che a sua volta risale alla furia stessa della fame, quando strappa l’erba rada con le unghie e con i denti.
Il significato di fame come malattia, si chiarisce in un’altra versione del mito di Erisittone, quella nell’Inno a Demetra di Callimaco. La dea di Callimaco getta su Erisittone la fame crudele e selvaggia, ardente e potente ed “egli è tormentato da grande malattia”.
…All’istante
una fame terribile e selvaggia
gli mise addosso, ardente e vigorosa.
Ed egli, in preda a grave malattia,
cominciò a consumarsi. …Sventurato,
finché fu pelle e ossa sopra i nervi.
…Ora mi siede
dinanzi agli occhi una malvagia fame:
o gli allontani questo orrendo male
o prendilo e nutriscilo tu stesso.
Le mie mense non hanno più risorse,
son deserti i recinti e sono vuote
le stalle dei quadrupedi. Più nulla
mandano indietro i cuochi, pure i muli
staccarono di sotto i grandi carri
ed egli divorò pure la mucca,
allevata per Estia dalla madre,
e il cavallo campione nelle gare
e il cavallo da guerra e coda bianca,
il terrore dei piccoli animali.
…Fino a quando restavano ricchezze
nella casa di Triopa, del malanno
solo le stanze interne erano a parte,
ma quando pure il fondo della casa
prosciugarono i denti, nei crocicchi
stette il figlio del re, seduto, a chiedere
avanzi e rimasugli delle mense.
(Da Inno a Demetra di Callllimaco; traduzione tratta da http://www.miti3000.it)
Callimaco esplicita il concetto che la fame è potente in quanto malattia, ma è Ovidio che ne descrive i vividi aspetti somatici.
…”C’è nelle estreme contrade della Scizia un luogo gelato,
una terra desolata, sterile, priva d’alberi e di messi;
abitano lì l’inerte Gelo, il Pallore, il Brivido
e la Fame digiuna:… scorse in una pietraia la Fame,
intenta a svellere con unghie e denti i rari fili d’erba.
Ispidi aveva i capelli, occhi infossati, viso pallido,
labbra sbiancate dall’inedia, gola rósa dall’arsura,
rinsecchita la pelle, diafana al punto da mostrare le viscere;
ossa scarne spuntavano dalle sue anche spigolose,
del ventre aveva la cavità, non il ventre; il torace sembrava
sospeso, sorretto soltanto dalla colonna dorsale.
La magrezza esaltava le articolazioni, rotule e malleoli
tumefatti sporgevano come gibbosità mostruose.
… subito, malgrado si tenesse a distanza e fosse appena arrivata,
sentì i morsi della fame…
La Fame, pur contraria per principio all’opera di Demetra,
eseguì l’ordine: si fece portare dal vento nello spazio
sino alla casa indicata, entrò senza indugio nella camera
del sacrilego e, immerso in un sonno profondo
nel cuore della notte, l’avvinse tra le sue braccia e in corpo
gli infuse sé stessa, respirandogli in bocca, in gola, nei polmoni,
e diffondendogli sin nelle vene i morsi della fame.
…Un molle sonno ancora cullava Erisittone tra le sue morbide
piume, e nel sogno è assalito dal desiderio di mangiare,
muove a vuoto la bocca, tormentando dente contro dente,
stanca la gola delusa con cibi inesistenti
e in luogo di vivande, senza frutto, divora folate d’aria.
… Alla fine, però, quando la violenza del male ebbe bruciato
tutte le risorse, fornendo nuovo alimento alla sua molestia,
Erisittone, lacerandole a morsi, cominciò a divorarsi
le membra e, con strazio, a nutrirsi rosicando il proprio corpo.
(Da Metamorfosi di Ovidio, Libro VIII, versi 738-878; traduzione tratta da http://www.miti3000.it)
“Gli economisti definiscono la carestia come una grave e protratta diminuzione della disponibilità di cibo in una determinata area geografica, con conseguente incremento del tasso di mortalità e diminuzione della natalità della popolazione o di suoi gruppi. I bambini del Biafra l’avrebbero definita col suo effetto: fame.
Amartya Sen ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 1998. Ora è pressoché unanime il riconoscimento dell’assunto secondo cui è l’inadeguatezza del reddito di gran lunga la causa principale della malnutrizione.
Surclassando in credibilità la crudele teoria d’ispirazione malthusiana secondo cui la mancanza di cibo è dovuta all’aumento della popolazione, Amartya Sen ha dato agli economisti e ai legislatori di tutto il mondo un nuovo strumento per studiare la fame nel mondo. Capirne le cause, come per ogni malattia, è un passo fondamentale per sradicarla”
(dall’articolo: Amartya Sen, la carestia e le sue cause. Di Stefano Carnazzi).
Il 21 Novembre 2014, a Roma il direttore della FAO José Graziano da Silva nel suo intervento di chiusura della Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione (ICN2) ha dichiarato che: “è questo il momento per un’azione decisa nell’abbracciare la “Sfida Fame Zero” ed assicurare una nutrizione adeguata a tutti. – aggiungendo-La malnutrizione è la prima causa di malattia nel mondo. Se la fame fosse una malattia contagiosa, l’avremmo già curata”.
Se la fame non è un virus, è certamente una malattia individuale e sociale. Forse bisogna cominciare a domandarsi se esistono però degli untori che la diffondono nel Mondo e da quali casse cominciare a prelevare i fondi per curarla.