“Lo spirito di fratellanza nella politica, come chiave dell’unità dell’Europa e del mondo”
Chiara Lubich al congresso “Mille città per l’Europa”:
Innsbruck, 9 novembre 2001
(…) nel Movimento dei Focolari la spiritualità dell’unità o di comunione ha dato origine, fra il resto, anche ad una espressione politica: il Movimento dell’Unità, il cui scopo è appunto la fraternità in politica.
Esso, sorto a Napoli, nel 1996, raccoglie l’esperienza di quei politici italiani che, fin dagli anni ’50, hanno cercato di vivere quest’ideale dell’unità. Ed ora si può costatare come, da ciò che ha posto in pratica – questo Movimento – ai diversi livelli dell’impegno politico, dall’amministrazione delle città fino all’attività parlamentare, è possibile ricavare alcune indicazioni concrete, che potrebbero essere sviluppate nella più grande dimensione continentale.
Si è capito, anzitutto, che esiste una vera vocazione alla politica. E’ una chiamata personale che emerge dalle circostanze e parla attraverso la coscienza. Chi crede vi avverte, con chiarezza, la voce di Dio che gli assegna un compito; ma anche chi non crede si sente chiamato ad essa dall’esistenza di un bisogno sociale, da una categoria debole che chiede aiuto, da un diritto umano violato, dal desiderio di compiere il bene per la propria città o per la propria nazione.
E la risposta alla vocazione politica è anch’essa anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo, infatti, solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio.
Il vivere così permette al politico di ascoltare fino in fondo i cittadini, di conoscerne i bisogni e le risorse; lo aiuta a comprendere la storia della propria città, a valorizzarne il patrimonio culturale e associativo, in tal modo arriva a cogliere, un po’ alla volta, la sua vera vocazione, quella della città, e a guardare ad essa con sicurezza per tracciarne il cammino.
Il compito dell’amore politico, infatti, è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di casa e di lavoro; l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri; l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade, di ferrovie, di regole certe.
La politica è perciò l’amore degli amori, che raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione. Ma fa pure in modo che collaborino tra loro, facendo incontrare i bisogni con le risorse, le domande con le risposte, infondendo in tutti la fiducia gli uni per gli altri. La politica si può paragonare allo stelo di un fiore, che sostiene e alimenta il rinnovato sbocciare dei petali della comunità.
Noi sappiamo come anche oggi ci sono cittadini per i quali la città è come non esistesse, cittadini per i cui problemi le istituzioni cercano con difficoltà le risposte; c’è anche chi si sente escluso dal tessuto sociale e separato dal corpo politico, a causa della mancanza di lavoro o di casa o della possibilità di curarsi adeguatamente.
Sono questi, e molti altri, i problemi che quotidianamente i cittadini pongono a chi ha il governo della città, e la risposta che ricevono è determinante perché anch’essi si sentano a pieno titolo cittadini e avvertano l’esigenza e abbiano la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica.
E perciò, da questo punto di vista, il Comune è la più importante delle istituzioni, perché più vicina alle persone, di cui incontra direttamente tutti i bisogni. E’ attraverso il rapporto con il Comune, nelle sue varie articolazioni, che il cittadino sviluppa la gratitudine o il rancore verso l’insieme delle istituzioni, anche quelle più lontane quali lo Stato.
Passando ora a considerare la dimensione nazionale della politica, i rapporti tra i grandi orientamenti che nei nostri Paesi si alternano al governo, costatiamo che il vivere la nostra scelta politica come una vocazione d’amore, ci porta a comprendere che anche coloro che hanno fatto una scelta politica diversa dalla nostra, possono essere stati spinti da una analoga vocazione d’amore, e che anch’essi sono parte – nel loro modo – dello stesso disegno, pur presentandosi come avversari.
La fraternità permette di riconoscere il loro compito, di rispettarlo, di aiutarli – anche attraverso una critica costruttiva – ad esservi fedeli, mentre noi siamo fedeli al nostro.
Si dovrebbe vivere la fraternità così bene da arrivare ad amare il partito degli altri come il proprio, sapendo che entrambi non sono nati per caso, ma come risposta ad una esigenza storica presente all’interno della comunità nazionale, e solo soddisfacendo a tutti gli interessi, solo armonizzandoli in un disegno comune, la politica raggiunge il proprio scopo.
La fraternità fa emergere i valori autentici di ciascuno e ricostruisce l’insieme del disegno politico di una nazione.
Lo testimoniano, ad esempio, le iniziative di membri del Movimento dell’Unità volte a creare un rapporto fraterno fra maggioranza e opposizione, sia a livello di Parlamento, sia in alcuni Comuni, iniziative che si sono tradotte in leggi dello Stato o in politiche locali, che hanno unito le città nelle quali si sono realizzate.
Lo testimoniano anche numerose esperienze di accoglienza degli immigrati, che accorrono nei Paesi più industrializzati non solo per motivi economici, ma anche politici.
Una città, una nazione, non perdono, ma guadagnano nell’aprirsi all’altro; si alza la loro statura politica nell’offrire una patria e una cittadinanza a chi l’ha perduta. E l’amore per la propria Patria fa comprendere quello che gli altri hanno per la loro, nella quale, pure, esiste un disegno di amore.
Così colui che, rispondendo alla propria vocazione politica, inizia a vivere la fraternità, si immette in una dimensione universale che lo apre all’umanità intera, e tiene conto delle conseguenze universali delle proprie scelte; si chiede se ciò che sta decidendo, pur rispondendo agli interessi della propria nazione, non porti ad un danno per le altre.
Ogni gesto politico, in questo modo, non solo quello di un governo nazionale, ma anche il più particolare, compiuto nel più piccolo municipio della più lontana provincia, si carica di un significato universale, perché è pienamente uomo, pienamente responsabile, il politico che lo compie.
Il politico dell’unità ama la patria altrui come la propria. Questa è la caratteristica della dimensione politica, dell’essere cittadini: il continuo rapporto con l’altro, il riconoscimento della sua distinzione da me, ma, allo stesso tempo, la convinzione di appartenere insieme alla città. Ed è, questa anche, la caratteristica dell’Europa. Infatti, quando si è iniziato a parlare di Europa, lo si è fatto in relazione alla città.
Attraverso i secoli, continuerà ad approfondirsi la percezione di che cosa è l’Europa e, contemporaneamente, se ne ampliano i confini: dalla piccola Grecia la coscienza europea arriverà a comprendere se stessa dall’Atlantico agli Urali, e questo soprattutto grazie alla penetrazione del cristianesimo, che infonde nei popoli dell’Europa geografica i principi religiosi, che sviluppandosi in principi civili, sociali e politici, costituiranno l’Europa culturale.
E tutto ciò senza soffocare le distinte identità cittadine e le identità nazionali che si sono andate via via formando.
E ad ogni passaggio d’epoca ritroviamo la stessa situazione: ciò che a un dato momento si pensava essere l’Europa, è risultato troppo piccolo, si è trovato alle prese con qualcosa di diverso che lo metteva in scacco, e che sfidava l’Europa a comprenderlo, a prenderlo dentro modificandolo e modificandosi.
E facendo così, l’Europa è andata sempre più verso se stessa, verso la piena maturazione del seme cristiano che non si esprime più, certo, oggi nella cristianità medievale, ma, più profondamente, nella dinamica della fraternità universale, che coinvolge persone e popoli diversi fra loro.
E’ in questa fraternità universale, che crea l’unità salvando le distinzioni, la vocazione dell’Europa. Essa è ancora in cammino: le guerre, i regimi totalitari, le ingiustizie, hanno lasciato delle ferite aperte da sanare.
Ma per essere davvero europei, dobbiamo riuscire a guardare con misericordia al passato, riconoscendo come nostra la storia della mia nazione e quella dell’altro, riconoscendo che ciò che oggi siamo è frutto di una vicenda comune, di un destino europeo che chiede di essere preso interamente e consapevolmente nelle nostre mani.
L’unità d’Europa chiede oggi, ai politici europei, di interpretare i segni del tempo, e di stringere fra loro quasi un patto di fraternità, che li impegni a considerarsi membri della patria europea come di quella nazionale, cercando sempre ciò che unisce e trovando insieme le soluzioni ai problemi che ancora si frappongono all’unità di tutta l’Europa.
Per un fine così alto vale senz’altro la pena di impegnare la propria esistenza. Ed è quanto auguro a tutti loro, signori.
E ringrazio di avermi ascoltata.
(Applausi)