Craxi poteva solo immaginare la sorte che lo aspettava, ma non certo l’indifferenza, che ancora oggi divide quel che resta del mondo socialista dal Pd, con cui i post-comunisti assistettero alla sua rovina nei primi anni ’90, e alla morte, ad Hammamet nel 19 gennaio 2000.
Il centrosinistra
«Il “centrosinistra” governò l’Italia dal 1962 al 1976, a seguito nell’inserimento del Partito Socialista Italiano (PSI) tra le forze di Governo cioè Democrazia Cristiana (DC), Partito Socialista Democratico italiano (PSDI) e Partito Repubblicano Italiano (PRI).
Inizialmente, il programma del Centrosinistra fu caratterizzato da una forte connotazione sociale come la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la riforma della scuola (= introduzione della scuola media unica), progetti di riforma fiscale e edilizia. Dovette, però, superare diversi ostacoli provenienti da frange consistenti della maggioranza politica e dal mondo economico ed ecclesiastico, a cui nel biennio 1968/1969 si aggiungere le agitazioni studentesche influenzate dal Maggio’68.
Infine, si trovò a combattere contro il clima instaurato dalla strategia della tensione.
Quali furono le cause che portarono all’affermazione del Centrosinistra?
Innanzitutto, abbiamo la crisi dell’ideologia di centro la cui base parlamentare aveva cominciato a prendere direzioni diverse o verso destra o verso sinistra; inoltre, l’evoluzione della politica internazionale e il fatto che la politica del Partito Socialista di Nenni si era progressivamente reso più autonoma rispetto al comunismo.
Tutti questi elementi, fin dal 1953, avevano innescato un dibattito su di una possibile apertura del Governo verso le forze di sinistra.
L’innovazione era molto profonda perché, in pratica si trattava di allargare le basi del Governo, inserendovi un partito, come il PSI, che rappresentava fortemente la classe operaia, rimasta fino ad allora pressoché esclusa dalla ricostruzione del dopo guerra. Inoltre, il programma prevedeva un ampio disegno riformatore, incentrato soprattutto sulla programmazione dello sviluppo economico.
L’ipotesi del centrosinistra creò resistenze da parte degli USA, della gerarchia ecclesiastica e negli ambienti industriali. L’episodio che contribuì a far capire la necessità di un governo di Centrosinistra fu il Governo Tambroni del 1960 che si reggeva sui voti del Movimento Sociale Italiano (MSI).
La piena realizzazione dell’apertura a sinistra si ebbe nel 1962 con il benestare che Aldo Moro ottenne al Congresso di Napoli della Democrazia Cristiana, approfittando anche del nuovo clima del cattolicesimo creato da Papa Giovanni XIII e dalla politica americana avviata dal nuovo presidente J.F. Kennedy.
Fu così che nel 1962, il governo Fanfani ebbe l’appoggio del Partito Socialista Italiano su di un programma di pianificazione economica e di riforme. Infatti, fu realizzata la nazionalizzazione dell’industria elettrica che portò alla costituzione dell’ENEL. Fu introdotta la scuola media unica e l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 14 anni. Nonostante questo, le elezioni del 1963 registrarono uno spostamento di voti verso le opposizioni di destra e di sinistra per cui il successivo governo Moro, in cui entravano dei ministri socialisti, risultava già indebolito in partenza.
Nel frattempo, le difficoltà non mancarono: il processo di sviluppo fu rallentato da una recessione dell’economia internazionale mentre si ebbe la minaccia di svolta autoritaria a seguito del tentato colpo di Stato del generale dei carabinieri Di Lorenzo.
Nonostante l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori e il varo delle Regioni a statuto ordinario nel 1970, il centrosinistra fu fortemente scosso dalla contestazione studentesca, sulla scia di quella francese, e dall’autunno caldo delle rivolte operaie.
A questo si aggiunse alla fine degli anni ’60 la strategia della tensione iniziata con la strage fascista di Piazza Fontana a Milano.
Negli anni ’70, il Centrosinistra trovò nuovi motivi di crisi nella divisione della maggioranza a proposito della legge sul divorzio. Nelle elezioni amministrative del 1975 e in quelle politiche del 1976, il Partito Comunista registrò un’avanzata elettorale importante tale da segnare la fine del centrosinistra. (Fabrizio Del Dongo)
L’unità nazionale
Di fronte ai risultati elettorali del 1976 nei quali al Pci non riuscì il sorpasso ma ottenne un grande risultato (34,37%), la Dc si consolidò (con il 38,71%) mentre il Psi fu ridotto al 9,64%, Moro elaborò la teoria dei “due vincitori” e la conseguente linea dell’unità nazionale, nella quale, però, il Pci era ammesso o all’astensione e poi nella maggioranza, non al governo.
Dopo l’assassinio di Moro avvenuto nel ’78, e quindi mancando la sua mediazione, il 26 gennaio 1979 a una riunione dei segretari dei partiti di maggioranza Berlinguer annuncia che il P.C.I passerà all’opposizione se non sarà accettata la presenza di ministri comunisti.
Il 28 gennaio, dopo aver riferito in Parlamento, Andreotti rassegna le dimissioni segnando la fine dei governi di unità nazionale.
Il ritorno al centrosinistra, la storia di una lite interminabile
Con il congresso DC di Roma del 1980, del ritorno al centrosinistra, espresso nel famoso ‘preambolo Donat-Cattin’, e all’anticomunismo con la collaborazione sistematica delle forze politiche di democrazia laica e socialista con l’impegno politico assunto verso gli elettori di non andare a una corresponsabilità di gestione con il Pci.
«I rapporti tra i due partiti si deteriorano irrimediabilmente. Al posto della sostanziale indifferenza che non aveva mai consentito l’inizio di una vera collaborazione, subentra il risentimento.
Il Pci berlingueriano, che aveva visto nel compromesso con la D.C. la possibilità di un approdo stabile al governo, nel ritorno democristiano, espresso nel famoso ‘preambolo Donat-Cattin’, all’anticomunismo e alla collaborazione con il Psi, trovava la conferma della propria emarginazione.
Siamo nell’estate del 1983. C’è un tentativo, che precede il primo governo Craxi, di salvare il salvabile in termini di rapporti. Ma l’incontro alle Frattocchie, al di là di una generica disponibilità a difendere le giunte di sinistra, si rivela inutile.
Dello stesso tenore, poco dopo, sono le consultazioni per il governo. Berlinguer, all’uscita dell’incontro alla Camera, conferma la dura opposizione del Pci senza alcun accenno alla novità rappresentata dalla presidenza socialista.
(Il PCI non concesse la fiducia al primo governo a guida socialista che rimase in carica dal 4 agosto 1983 al 1º agosto 1986, per un totale di 1 093 giorni, ovvero 2 anni, 11 mesi e 28 giorni. Primo governo a guida socialista, è stato il terzo governo più longevo della storia della Repubblica Italiana, nonché il più duraturo della cosiddetta Prima Repubblica).
E Berlinguer quando di nuovo gli chiedono del clima tra i due partiti, se la cava così: “Né particolarmente accentuato in un senso, né particolarmente accentuato in un altro”.
In sei-sette mesi le cose precipitano. A febbraio 1984 Craxi assesta il colpo della revisione del Concordato, che lo pone in relazione diretta con il Vaticano, sullo sfondo di un fastidio conclamato dei due maggiori partiti. Berlinguer si trattiene.
Il segretario della D.C. De Mita sarà inspiegabilmente assente alla votazione alla Camera in cui si ratifica il trattato con la Santa Sede.
Più o meno negli stessi giorni, il famoso 14 febbraio del decreto di San Valentino, Craxi taglia la scala mobile, con una rottura senza precedenti con la Cgil. È in quell’occasione che Berlinguer giungerà a parlare di «governo pericoloso per la democrazia». (Gennaro Acquaviva)
Venerdì 11 maggio 1984 Enrico Berlinguer a Verona è invitato a un congresso del Psi. Non deve parlare, ma solo essere presente. Viene contestato.
«Una fischiata storica. Berlinguer sembra impassibile, il solito viso scolpito nel legno, non un trasalimento, non un’emozione. Lo speaker che per caso si trova a domare la tempesta, Rigo, il sindaco socialista di Venezia, Grida: “Compagni, calma, calma!” “Compagni, state giù!”. “Compagni, accogliamo da socialisti tutti i nostri ospiti!”». (Giampaolo Pansa)
Bettino Craxi a conclusione del congresso commentò il fatto: “So bene che non ci si indirizzava a una persona, ma a una politica, che noi giudichiamo profondamente sbagliata, e se i fischi erano un segnale politico che manifestava contro questa politica io non mi posso unire a questi fischi solo perché non so fischiare”.
«Subito dopo, l’11 giugno, l’improvvisa morte del segretario comunista verrà ad appesantire ulteriormente la situazione. Craxi è a Londra, al Claridge, non ancora informato, passa la serata con un gruppo di giornalisti con cui si lascia andare a criticare il segretario del Pci. Tornato in camera, mentre sta per mettersi a letto, apprende del malore di Berlinguer.
Craxi ai funerali di Berlinguer verrà fischiato da una folla di quasi due milioni di persone.
Finita la presidenza socialista, i cinque anni dal 1987 al ’92 sono quelli del declino di Craxi e dell’avvento, dopo la segreteria di transizione Natta, di Occhetto come nuovo leader del Pci.
I due si conoscono, hanno in comune un passato studentesco negli ultimi parlamentini universitari ma, pur cercando di svelenire la pesantezza dei rapporti dell’epoca precedente, non riusciranno a costruire niente di significativo.
Caduto il muro di Berlino e l’aggettivo ‘comunista’ dal nome del partito divenuto ‘democratico di sinistra’, Occhetto – grazie, più che all’aiuto, alla non ostilità del leader del Psi – riuscirà a entrare nell’Internazionale socialista.
Craxi farà svogliatamente, senza impegnarsi più di tanto, la proposta di un’’Unità socialista’ che immagina fondata su un impossibile riequilibrio di forze tra un Psi del 14 e un Pci del 25%». (Gennaro Acquaviva)
La sera del 30 aprile 1993 il leader socialista Bettino Craxi fu pesantemente contestato mentre stava uscendo dalla sua residenza romana all’Hotel Raphaël, in largo Febo. Contro di lui furono lanciate una moltitudine di monetine.
La contestazione fu uno dei momenti più drammatici del periodo noto come Tangentopoli, seguito all’inchiesta Mani Pulite della procura di Milano che svelò il diffuso sistema di finanziamento illecito ai partiti e l’altrettanto diffusa corruzione presente nella gestione dell’amministrazione pubblica italiana.
Il giorno prima della contestazione la Camera dei deputati, con votazione segreta, aveva negato quattro richieste di autorizzazione a procedere contro Craxi per accuse di corruzione e ricettazione.
Il 30 aprile si svolsero in tutta Italia manifestazioni di protesta contro la decisione del parlamento indette dal Partito democratico della sinistra. La più importante si tenne in piazza Navona, a Roma. Al termine del comizio di Achille Occhetto, molti manifestanti si spostarono davanti al vicino Hotel Raphaël dove da sempre Bettino Craxi aveva la sua residenza romana.
Il Partito democratico della sinistra, allora guidato da Achille Occhetto, ritirò la sua delegazione dal governo appena formato. Si trattava del governo guidato dall’ex governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, il primo governo italiano guidato da un non parlamentare.
A farne parte era entrato anche il PDS, erede del Partito comunista italiano: anche questo non era mai accaduto prima.
I ministri indicati dal Pds, quello delle Finanze Vincenzo Visco, dei Rapporti con il parlamento Augusto Barbera, e dell’Università e della Ricerca Luigi Berlinguer, si dimisero, come fece Francesco Rutelli, allora leader dei Verdi e ministro dell’Ambiente e delle Aree urbane.
Il lancio di monetine contro Craxi segnò anche la fine della carriera politica dell’ex segretario del Partito socialista italiano che si era dimesso a febbraio di quell’anno.