«Libertà, uguaglianza… che fine ha fatto la fraternità?»

Chiara Lubich riporta l’attenzione su una categoria politica, della trilogia della Rivoluzione francese, di cui ci si è dimenticati.

Chiara Lubich, Roma, Castel Gandolfo, 9 giugno 2000, Congresso del Movimento dell’unità;

Roma, sala di San Macuto, 15 dicembre 2000, conversazione svolta da Chiara Lubich;

Londra (palazzo del parlamento britannico), 22 giugno 2004.

Chiara Lubich al congresso “Mille città per l’Europa”. Innsbruck, 9 novembre 2001.

Antonio Maria Baggio, La tradizione delle definizioni relazionali e l’amore degli amori ne ‘La politica nella visione carismatica di Chiara Lubich’.

Il trittico «libertà, uguaglianza, fraternità», quasi una sintesi del programma politico della modernità, esprime un’intuizione profonda e sollecita oggi da noi una profonda riflessione: a che punto siamo con la realizzazione di questa grande aspirazione?

Ma, se i primi due principi hanno conosciuto, negli ultimi secoli, forme parziali di attuazione, la fraternità invece, a dispetto delle dichiarazioni formali, sul piano politico è stata pressoché dimenticata.

Proprio questa invece può essere la caratteristica specifica del nostro Movimento: la fraternità; e per essa acquistano significati nuovi e potranno venire sempre più pienamente raggiunte anche la libertà e l’uguaglianza.

La Rivoluzione francese ha annunciato i tre principi, ma certamente non li ha inventati: essi avevano già cominciato il loro faticoso cammino attraverso i secoli, soprattutto a partire dall’annuncio cristiano, che ha illuminato il meglio delle tradizioni antiche dei diversi popoli e il patrimonio della rivelazione ebraica, portando un’autentica rivoluzione: l’umanesimo nuovo, aperto da Cristo, che ha reso l’uomo capace di vivere pienamente questi principi.

Da quell’annuncio, attraverso i secoli, essi vanno rivelando la loro ricchezza nelle opere degli uomini. Molta strada è stata percorsa e spesso, in questo cammino.

Libertà e uguaglianza hanno segnato profondamente la storia politica dei popoli arrivando ad esprimere frutti di civiltà e creando le condizioni per la progressiva espressione della dignità della persona umana.

La libertà e l’uguaglianza sono diventati principi giuridici e vengono quotidianamente applicati come vere e proprie categorie politiche.

Ma l’affermazione esclusiva della libertà, lo sappiamo bene, può trasformarsi nel privilegio del più forte, mentre l’uguaglianza, e la storia lo conferma, può tradursi in collettivismo che massifica. Inoltre, molti popoli in realtà ancora non beneficiano dei contenuti della libertà e dell’uguaglianza…

Come fare allora perché la loro acquisizione porti frutti maturi? Come rimettere in cammino la storia dei nostri Paesi e quella dell’umanità intera, verso quel destino che le è proprio? Noi crediamo che la chiave stia nella fraternità universale, nel darle il giusto posto tra le categorie politiche fondamentali.

Solo l’uno accanto all’altro, i tre principi potranno dare origine ad una politica adeguata alle domande dell’oggi.

Raramente come nel tempo presente, il nostro pianeta è stato ed è attraversato dalla sfiducia, dal timore, dal terrore persino, senza dimenticare le centinaia di attentati che, in questi ultimi anni, hanno crivellato la nostra cronaca quotidiana. Il terrorismo: una calamità grave almeno quanto le decine di guerre che tuttora insanguinano il nostro pianeta!

E quali ne sono le cause? Molteplici. Non si può però non riconoscere che una delle più profonde è lo squilibrio economico e sociale che esiste nel mondo fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Squilibrio che genera risentimento, ostilità, vendetta, favorendo in questo modo il fondamentalismo, che attecchisce più facilmente in un simile terreno.

Ora, se le cose stanno così, perché il terrorismo si allenti e taccia, non è certo una risposta la guerra, occorre cercare le vie del dialogo, vie politiche e diplomatiche. Ma non basta; occorre suscitare nel mondo più solidarietà fra tutti e una più equa comunione dei beni.

Senza contare che ancor più numerosi sono i temi scottanti che interpellano la politica, nella dimensione nazionale come in quella internazionale. Anche nel mondo occidentale lo stesso modello di sviluppo economico è ormai innegabilmente in crisi, crisi che chiede non più solo limitati aggiustamenti, ma un ripensamento globale per superare la recessione in corso.

La marcia inarrestabile della ricerca scientifica non può avvenire senza provvedere a garantire l’integrità e la salute della specie umana e dell’intero ecosistema.

Il riconoscimento della funzione essenziale dei mezzi di comunicazione nel mondo moderno deve trovare regole certe di fronte alle specifiche esigenze di promozione dei valori e di tutela delle persone, dei gruppi, dei popoli.

Un’altra domanda centrale emerge dalla necessità di difendere e valorizzare la ricchezza che viene dalle diverse appartenenze etniche, religiose, culturali, pur nell’orizzonte degli irreversibili processi di globalizzazione in atto.

Queste che appaiono come alcune tra le maggiori sfide poste dall’attualità, reclamano fortemente l’idea e la pratica della fraternità, e, data la vastità del problema, di una fraternità universale.

Quale espressione politica del Movimento dei Focolari, il Movimento politico per l’unità ha come scopo quello di aiutare persone e gruppi impegnati in politica a riscoprire i valori profondi, eterni dell’uomo, a mettere la fraternità a base della loro vita e solo dopo muoversi nell’azione politica.

Ne consegue che l’agire politico da amore interpersonale diventa possibilità di un amore più grande, quello verso la polis. Un amore che, acquisendo la dimensione politica, non perde le proprie caratteristiche: il coinvolgimento di tutta la persona, con l’intelligenza e la volontà di arrivare a tutti, l’intuizione e la fantasia per fare il primo passo, il realismo del mettersi nei panni dell’altro, con la capacità di donarsi senza interessi personali e di aprire strade nuove anche quando i limiti umani e i fallimenti sembrano chiuderle.

Passando ora a considerare la dimensione nazionale della politica, i rapporti tra i grandi orientamenti che nei nostri Paesi si alternano al governo, costatiamo che il vivere la nostra scelta politica come una vocazione d’amore, ci porta a comprendere che anche coloro che hanno fatto una scelta politica diversa dalla nostra, possono essere stati spinti da una analoga vocazione d’amore, e che anch’essi sono parte – nel loro modo – dello stesso disegno, pur presentandosi come avversari.

La fraternità permette di riconoscere il loro compito, di rispettarlo, di aiutarli – anche attraverso una critica costruttiva – ad esservi fedeli, mentre noi siamo fedeli al nostro.

Si dovrebbe vivere la fraternità così bene da arrivare ad amare il partito degli altri come il proprio, sapendo che entrambi non sono nati per caso, ma come risposta ad una esigenza storica presente all’interno della comunità nazionale, e solo soddisfacendo a tutti gli interessi, solo armonizzandoli in un disegno comune, la politica raggiunge il proprio scopo.

La fraternità fa emergere i valori autentici di ciascuno e ricostruisce l’insieme del disegno politico di una nazione.

Lo testimoniano, ad esempio, le iniziative di membri del Movimento dell’Unità volte a creare un rapporto fraterno fra maggioranza e opposizione, sia a livello di Parlamento, sia in alcuni Comuni, iniziative che si sono tradotte in leggi dello Stato o in politiche locali, che hanno unito le città nelle quali si sono realizzate.

Lo testimoniano anche numerose esperienze di accoglienza degli immigrati, che accorrono nei Paesi più industrializzati non solo per motivi economici, ma anche politici.

Una città, una nazione, non perdono, ma guadagnano nell’aprirsi all’altro; si alza la loro statura politica nell’offrire una patria e una cittadinanza a chi l’ha perduta. E l’amore per la propria Patria fa comprendere quello che gli altri hanno per la loro, nella quale, pure, esiste un disegno di amore.

Così colui che, rispondendo alla propria vocazione politica, inizia a vivere la fraternità, si immette in una dimensione universale che lo apre all’umanità intera, e tiene conto delle conseguenze universali delle proprie scelte; si chiede se ciò che sta decidendo, pur rispondendo agli interessi della propria nazione, non porti ad un danno per le altre.

Ogni gesto politico, in questo modo, non solo quello di un governo nazionale, ma anche il più particolare, compiuto nel più piccolo municipio della più lontana provincia, si carica di un significato universale, perché è pienamente uomo, pienamente responsabile, il politico che lo compie.

Amministratori, parlamentari, militanti di partito –, di appartenenze partitiche le più varie, che sentono il dovere di agire assieme al vero titolare della sovranità, il cittadino; cittadini che vogliono fare la loro parte di soggetto politico attivo; studenti e studiosi di politologia che vogliono offrire il loro contributo di competenza e di ricerca; funzionari della Pubblica Amministrazione, coscienti del proprio ruolo specifico.

Ciò che si propone e si testimonia insieme è uno stile di vita che permetta alla politica di raggiungere nel miglior modo il suo fine: il bene comune nell’unità del corpo sociale. Anzi, si vorrebbe proporre a tutti quanti agiscono in politica di formulare quasi un patto di fraternità per il loro Paese, che metta il suo bene al di sopra di ogni interesse parziale, sia esso individuale, di gruppo, di classe o di partito.

Perché la fraternità offre possibilità sorprendenti: essa consente di tenere insieme e valorizzare esigenze che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili. Armonizza, ad esempio, le esperienze delle autonomie locali con il senso della storia comune; consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei processi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana. È la fraternità, infatti, che può far fiorire progetti e azioni nel complesso tessuto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo.

È la fraternità che fa uscire dall’isolamento e può aprire la porta dello sviluppo ai popoli che ne sono ancora esclusi. È la fraternità che indica come risolvere pacificamente i dissidi e che può relegare la guerra ai libri di storia. È per la fraternità vissuta che si può sognare e persino sperare in una qualche comunione dei beni fra Paesi ricchi e poveri.

Il profondo bisogno di pace che l’umanità oggi esprime, dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un metodo, ma il paradigma globale di sviluppo politico. Ecco perché un mondo che difatti è sempre più interdipendente ha bisogno di politici, di imprenditori, di intellettuali, di artisti che pongano la fraternità – strumento di unità – al centro del loro agire e del loro pensare.

Era il sogno di Martin Luther King che la fraternità diventasse l’ordine del giorno di un uomo d’affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo. I politici del Movimento politico per l’unità vogliono fare di questo sogno una realtà.

Ma questo può essere solo se nell’attività politica non si dimentica la dimensione spirituale, o, comunque, la fede nei valori profondi che devono regolare la vita sociale.

Un giorno mi sembrò di comprendere cosa volesse dire la politica come amore. Se dessimo un colore ad ogni attività umana, all’economia, alla sanità, alla comunicazione, all’arte, al lavoro culturale, alla amministrazione della giustizia… la politica non avrebbe un colore, sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri colori.

Per questo la politica deve ricercare un rapporto continuo con ogni altro ambito di vita, per porre in questo modo le condizioni affinché la società stessa, con tutte le sue espressioni, possa realizzare fino in fondo il suo disegno.

È chiaro che in questa continua attenzione al dialogo, la politica ha il dovere di riservare a sé alcuni specifici spazi: dare le priorità in un programma equo, fare degli ultimi i soggetti privilegiati, ricercare sempre e comunque la partecipazione, che vuol dire dialogo, mediazione, responsabilità e concretezza.

Per i politici di cui parlo, la scelta dell’impegno politico è un atto di amore, con il quale ognuno risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale.

Chi è credente avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente risponde ad una domanda umana, ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, che trovano eco nella sua coscienza: ma è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione.

I politici dell’unità prendendo coscienza che la politica è, nella sua radice, amore, comprendono che anche gli altri, che a volte sono chiamati avversari politici, possono avere compiuto la propria scelta per amore.

Essi prendono coscienza che ogni formazione politica, che ogni opzione politica, possono essere la risposta ad un bisogno sociale e quindi è necessaria alla composizione del bene comune. Quindi si interessano al destino dell’altro e all’istanza che porta, come alla loro, e la critica si fa costruttiva.

Si cerca di praticare l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché il bene del Paese ha bisogno dell’opera di tutti.

Questa – mi pare – la politica che vale la pena di essere vissuta, una politica capace di riconoscere e servire il disegno della propria comunità, della propria città e nazione, fino all’umanità intera, perché la fraternità è il disegno di Dio sull’intera famiglia umana.

È questa la vera politica autorevole di cui ogni Paese ha bisogno; il potere, infatti, conferisce la forza, ma è l’amore che dà autorità.

È questa la politica che costruisce opere che rimarranno. Le generazioni che verranno non saranno grate ai politici per avere detenuto il potere, ma per come lo avranno gestito. se pensiamo che il grande progetto politico della modernità prevedeva, come sintetizza il motto della rivoluzione francese, “libertà, uguaglianza, fraternità”.

Ma se i primi due principi hanno conosciuto forme parziali di attuazione, la fraternità invece, a dispetto delle dichiarazioni formali, sul piano politico è stata “pressoché dimenticata. Proprio questa invece può essere la caratteristica specifica del nostro Movimento: la fraternità; e per essa acquistano significati nuovi e potranno venire più pienamente raggiunte anche la libertà e l’uguaglianza

Di fraternità, in effetti, nel mondo politico, sia a livello dell’azione, sia nell’ambito della riflessione accademica, in quel tempo non si poteva parlare senza essere fraintesi o derisi.

E questo era ed è un segno della crisi profonda che la politica, teorica e pratica, sta attraversando, quando si riduce ad in-seguire le inclinazioni dell’elettorato piuttosto che proporre programmi seri e lungimiranti;

oppure quando trasforma i problemi politici in questioni di polizia e di ordine pubblico;

o quando preferisce affidarsi alle armi piuttosto che affrontare le cause vere dell’ingiustizia interna e internazionale;

o facendosi esecutrice passiva di interessi economici talmente grandi da sfuggire ad ogni controllo.

In ognuno di questi casi, la politica tradisce se stessa e si riduce a qualche cosa d’altro, perché non sa più che cosa essa è.

L’approccio chiariano alla politica si inserisce invece, dandole un contributo originale, nella grande tradizione delle definizioni relazionali della politica, basate, appunto, sull’interpretazione della natura del legame di cittadinanza: parte, cioè, dalle fondamenta del discorso politico.

È Aristotele ad iniziare tale ricca e composita tradizione, definendo la relazione tra i cittadini come una relazione di amicizia basata sull’utile, quando l’utile è il bene di tutti’.

Nella nozione aristotelica di bene comune, esso non è costituito soltanto dalla disponibilità di beni materiali comuni, di infrastrutture, di istituzioni: esso è caratterizzato dalla comune volontà di costruire le condizioni della vita felice, che è tale perché razionale e buona (Aristotele, Etica nicomachea, IX, 6, 1167a, a cura di C. Mazzarelli, Rusconi, Milano 1996).

L’amicizia politica è dunque una relazione che richiede le virtù civili, la capacità da parte di ciascuno di posporre il proprio interesse privato, per conseguire un bene che solo insieme agli altri può essere raggiunto.

Egli fornisce anche altre definizioni di politica’, ma le definizioni di tipo relazionale, alle quali egli dà inizio, sono genetico-descrittive, mostrano cioè su quali basi antropologiche si formi la società politica.

Questa tradizione ha fornito strumenti interpretativi essenziali lungo la storia del pensiero politico.

La dimensione relazionale è determinante, ad esempio, nella filosofia politica di Agostino. Come è noto, egli descrive la vita di due città, caratterizzate dal fatto che la relazione tra i cittadini dell’una è molto differente dalla relazione tra i cittadini dell’altra.

Esistono cioè due forme di cittadinanza radicalmente diverse; la cittadinanza della città divina, dove i cittadini sono uniti dall’amore sociale e agapico, dalla volontà di bene gli uni per gli altri; e la cittadinanza della città terrena, caratterizzata dall’amor proprio e privato’.

Lungo la storia le due città sono mescolate fra loro ed è difficile distinguerle; nello stesso parlamento possiamo incontra-re entrambi i tipi di cittadini: quelli che hanno l’amore agapico-sociale e per questo costruiscono il bene comune, e quelli che hanno l’amor proprio, cioè privato, e, attraverso la politica, lavorano per se stessi’.

Ma solo l’amore sociale è in grado, secondo Agostino, di costituire la vera cittadinanza (cit. Sant’Agostino, La città di Dio, XIV, 7, 2; in La città di Dio, II (Libro XI-XVIII), Sant’Agostino, La Genesi alla lettera (De Genesi ad litteram).

La relazione basata sugli interessi privati non è politica; senza amore non c’è una vera città, non c’è polis, non c’è politica.

Passando all’età moderna, la società politica è costruita, secondo Thomas Hobbes, attraverso un contratto nel quale ciascun uomo rinuncia a tutti i propri diritti, per dare vita ad una istituzione politica in cui il potere è assoluto — il Leviatano — proprio per proteggere ciascuno dall’aggressività degli altri.

È l’aggressività di ciascuno nei confronti di tutti a caratterizzare, per Hobbes, l’essenziale relazionalità umana; che sia causata da brama di guadagno, dalla ricerca della sicurezza personale o da quella della gloria, l’esito è in ogni caso distruttivo e genera un’insicurezza e paura permanenti per la propria vita; l’istituzione che ne deriva ne è lo specchio: gli esseri umani vi sono sudditi, non cittadini'(T. Hobbes, Leviathan, I, XIII; ín Leviathan, with selected variants from the Latin edition).

Al contrario, John Locke assume a base del contratto che dà vita alla società politica una diversa visione antropologica. Certamente, in Locke vi sono anche altre motivazioni che richiedono di costituire una società politica, in particolare l’elemento della difesa della proprietà. Ma già prima di unirsi politicamente gli esseri umani sono legati in società e riconoscono un obbligo di amore reciproco’.

Locke coglie questa visione sociale della natura umana dalla Bibbia, della quale è lettore appassionato e, in particolare, dalla riflessione del grande teologo anglicano Richard Hooker, che considerava l’amore reciproco non solo come un comandamento evangelico, ma come un dovere che gli esseri umani comprendono sulla base dell’intelligenza naturale’.

Per questo, secondo Locke, gli esseri umani vivono già socialmente prima di stabilire il contratto politico. Il governo che scaturisce da tale impostazione antropologica dev’essere basato sulle leggi e sul consenso; è in effetti il progenitore del moderno Stato di diritto (J. Locke, The Second Treatise of Government).

Vediamo dunque che concentrarsi sulla dimensione antropologica e relazionale della cittadinanza, e fare ricorso anche al vocabolario della socialità e dell’amore, o ai loro contrari, non è affatto improprio, ma si inserisce in una tradizione rilevante nella storia del pensiero politico.

Perderla, rinunciando a questo tipo di linguaggio, significherebbe perdere contenuti essenziali della storia umana. Chiara, al contrario, la recupera, portando alla luce un percorso storico — lo “zoccolo”, com’ella lo chiamava — sul quale poggiare il proprio pensiero, reinterpretando la tradizione per continuare a costruire.

Che questo popolo e in particolare i suoi rappresentanti, ricchi della loro nobile storia di democrazia, trovino nella fraternità il vigore necessario per continuare con efficacia ancora maggiore il loro cammino e per dare un apporto da protagonisti nella storia di unità della famiglia umana. Noi da parte nostra ci impegniamo a non lasciarvi soli, mettendo a vostra disposizione il carisma dell’unità offerto dal Cielo per l’umanità intera.

Perché la fraternità offre possibilità sorprendenti.

Essa consente, ad esempio, di comprendere e far proprio anche il punto di vista dell’altro, così che nessun interesse, nessuna esigenza rimangano estranei. Ricostruisce il tessuto sociale e, per essa, acquistano nuovi significati anche la libertà e l’uguaglianza, con tutti gli orientamenti politici e le scelte che da essi discendono.

C’è questa profonda convinzione dei politici del Movimento: la fraternità consente di tenere insieme e valorizzare esperienze umane che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili come le ferite ancora aperte della questione meridionale e le nuove legittime esigenze del Nord.

La fraternità armonizza le esperienze delle rinate autonomie locali, dei governi cittadini che tanto contribuiscono alla maturazione della democrazia, con un senso di piena appartenenza alla Patria.

La fraternità illumina la crescente coscienza di essere europei in un’Europa che – per sto- ria e cultura – va dall’Atlantico agli Urali. Consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei pro- cessi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana.

La fraternità è un impegno che: favorisce lo sviluppo autenticamente umano del Paese senza isolare nell’incertezza del futuro le categorie più deboli, senza escluderne altre dal benessere, senza creare nuove povertà;

salvaguarda i diritti della cittadinanza e l’accesso alla cittadinanza stessa, aprendo una speranza a quanti cercano la possibilità di una vita degna nel nostro Paese, il quale può mostrare la propria grandezza nell’offrirsi come patria per chi l’ha perduta;

aiuta la ricerca scientifica e l’invenzione di nuove tecnologie, salvaguardando, insieme, la dignità della persona umana dal primo all’ultimo istante della sua vita, fornendo sempre le condizioni perché ogni persona possa realizzare la propria libertà di scelta e possa crescere nell’assunzione di responsabilità. In una parola: possa mettere in atto quella specifica capacità di amare iscritta nel DNA di ogni donna e di ogni uomo, che la realizza pienamente come persona, unica ed irripetibile.

La fraternità – così ci sembra – consentirebbe inoltre di immettere nuovi principi nel lavoro politico quotidiano: farebbe in modo che non si governi mai contro qualcuno o essendo l’espressione solo di una parte del Paese.

C’è chi ha compiti al governo e chi all’opposizione, che solo insieme garantiscono la sovranità dei cittadini.

La fratellanza ancora permetterebbe che si viva pienamente il rapporto tra l’eletto, fin da quando è candidato, e i cittadini del proprio territorio: luogo privilegiato di un dialogo che fa scaturire i programmi dalla collaborazione tra società civile e politica.

Il candidato manterrebbe così più facilmente gli impegni presi e renderebbe conto del proprio operato; e i cittadini lo accompagnerebbero nel suo lavoro con un’azione di sostegno lungo tutto il mandato.

In questo modo, sarebbe superata la separazione tra società e politica, e l’eletto non si troverebbe mai solo, ma espressione di una comunità nella quale rimane profondamente radicato; comunità che, attraverso l’elezione del proprio rappresentante, si apre alla dimensione della nazione.

Così per la fraternità che dona pace, serenità, i partiti troverebbero più facile rinnovarsi, ma, pur rinnovandosi, riscoprirebbero la grandezza del loro compito, poiché nessuno di essi è nato per caso, ma da un’esigenza storica, da un bisogno condiviso di affermare un valore; e sarebbero spinti a mettere in luce la propria ispirazione originale e i propri valori fondanti.

Nello stesso tempo, ogni partito riconoscerebbe i valori e i compiti degli altri partiti stimolandoli, anche attraverso una critica, carica di stima e d’amore, ad esprimere la loro vera identità e a svolgere l’azione che il bene comune attende da loro.

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