Censure ad Arte
pubblicato su Venerdì di Repubblica il 17 giugno 1994
Lungo la parete destra del Giudizio Universale di Michelangelo, a mezza altezza, la Santa Caterina vestita di verde, e dietro a lei San Biagio, non sono quelli originali. Michelangelo dipinse la santa nuda e prona, e il santo era rivolto verso le sue partì intime. Oggi Biagio guarda il Cristo e Caterina è vestita.
Questi particolari e altri numerosi casi di censura sono emersi durante il restauro della parete di fondo della Cappella Sistina.
Confrontando l’opera di Michelangelo con una fedelissima copia dipinta da Marcello Venusti nel 1549, si può avere un’idea di come fu dipinto in origine il Giudizio Universale, di come fu e di come non sarà mai più.
Ancora oggi, a restauro finito, sono 23 i personaggia cui non è stata tolta la censura. La copia, ora conservata al museo nazionale di Capodimonte a Napoli, fu dipinta ad olio su tavola appena otto anni dopo l’originale del Buonarroti, prima che il Concilio di Trento ne decretasse la distruzione di alcune parti e la censura di altre.
«È una riproduzione importantissima», dice il sovrintedente al museo, professor Nicola Spinosa, «perché Marcello Venusti era un allievo di Michelangelo e ne aveva un grandissimo rispetto.
L’allievo di fronte al maestro applicò tutto se stesso nell’imitarla fedelmente. «Si rendeva conto», continua Spinosa «che qualunque differenza di interpretazione avrebbe significato travisare nei particolari il messaggio che Michelangelo donava all’umanità».
Questo messaggio, professor Spinosa, è stato tradito dai restauratori che non hanno eliminato tutte le censure che potevano?
«Guardi, proprio la tavola del Venusti dimostra che il restauro è stato condotto in maniera eccezionale. Certo se devo fare qualche appunto è che non si è avuto il coraggio di eliminare tutte quelle braghe, che furono poste per un moralismo di seconda e terza mano, fiorito fra la fine del Sei e Settecento, e riportare l’affresco quantomeno alle condizioni del Concilio di Trento».
QUESTIONE DI STILE
Era possibile eliminare tutti gli interventi censorii che si sono susseguiti dal Cinquecento all’Ottocento? Lo abbiamo chiesto a Gianluigi Colalucci, restauratore capo del Giudizio Universale: «Tecnicamente era possibile eliminare tutte le aggiunte successive meno due: i rifacimenti di San Biagio e Santa Caterina, che sono stati affrescati da Daniele Da Volterra nel 1565 dopo aver spicconato l’originale del 1541.
Le altre censure si potevano rimuovere tutte, perché erano dipinte a tempera, ma abbiamo stabilito fin dall’inizio di non togliere le braghe imposte nel Cinquecento dal Concilio di Trento per celare le nudità. Solo quelle del Sette e Ottocento sono state rimosse, se davano veramente fastìdio, mentre ne abbiamo lasciate alcune come documento.
Personalmente ero d’accordo sul non rimuovere le censure del Cinquecento, perché se un documento importante non altera l’opera in maniera grave è bene conservarlo. Avrei tolto invece tutti gli interventi successivi».
Molti dei quali, invece, sono ancora lì a coprire l’arte di Michelangelo… «Ma il problema non è drammatico, possiamo sempre alzare un ponteggio e andare a levarli. Anche alla luce delle parole del Papa (in sostanza, “Quei nudi di fronte a Dio nobilitano l’uomo”). Perché, diciamocelo francamente, noi non abbiamo avuto né ordini né imposizioni dai committenti, ma ci siamo comunque posti il problema di non dispiacere all’ambiente ecclesiastico». Un’autocensura quindi nel “decensurare”.
CROCIERA PARADISO
Come fece Michelangelo a farsi autorizzare i nudi integrali dalla stessa istituzione, il Papa, che solo 24 anni dopo ne impose la censura?
«Il Rinascimento, fino agli anni in cui visse e lavorò Michelangelo, è spregiudicato», risponde Gaetano Calabrò, ordinario di Storia delle Dottrine politiche alla Sapienza di Roma, «poi fra il 1545 e il 1563 ci fu il Concilio di Trento, e la Controriforma cambiò le cose».
Calabrò ricorda che nella prima metà del Cinquecento gli uomini agiscono e pensano in un mondo ancora fermo al centro dell’Universo, da poco divenuto tondo per effetto delle scoperte di Colombo.
Un mondo dove c’è ancora spazio per la montagna del Purgatorio che Dante ha posto in mezzo agli oceani. Però l’uomo del Rinascimento, grazie alle nuove scoperte, per la prima e unica volta nella storia, pensa realmente di poter fare il turista nell’aldilà.
Come Adamo prima del peccato originale, può credere alla possibilità di ritornare al Paradiso Terrestre e di non vergognarsi delle sue nudità.
«Naturalmente questo è vero soprattutto da un punto di vista intellettuale», spiega Calabrò. «Nel Rinascimento c’è comunicazione fra aldiqua e aldilà. La mescolanza fra sacro e profano non viene considerata come una contaminazione.
Insomma bisogna tener presente che la profonda religiosità di Michelangelo è una religiosità di tipo rinascimentale: autenticamente umana. Egli non avrebbe avuto la forza e la potenza, a parte le sue capacità tecniche e la sua ispirazione, di arrivare a quella rappresentazione senza una sua propria idea rispetto all’aldiqua e all’aldilà».
Calabrò conclude: «Con il Concilio di Trento e la Controriforma la Chiesa compie un’operazione politica, di alta politica, di alta mondanità. Si storicizza, il trascendente viene separato e diventa una formula. Un rituale, una specie di movimento degli astri che non ha la forza di contrapporsi alle cose del mondo.
L’istituzione che aveva garantito la coesistenza fra aldiqua e pensiero religioso è in grande difficoltà, si richiude in sé stessa.
Mentre nel Rinascimento l’aldilà si conquista con la vita, con la Controriforma si acquista con l’ortodossia religiosa, qui sta l’operazione politica».
E così, pochi mesi dopo la morte di Michelangelo, ai suoi nudi Pio IV impone i braghettoni.
E oggi, all’inizio del terzo millennio?
Figli della Controriforma, ma anche del Concilio Vaticano II, noi ci poniamo ancora il problema se un nudo integrale dipinto in una chiesa sia da elogiare oppure no?
Mario Maria Molinari